MATERNITÀ E DEPRESSIONE POST PARTO

© Svetlana Fedoseeva – Fotolia.com

Una madre, oltre alla sensazione di vuoto, sente in sé qualcosa d’altro quando mette al mondo la vita che ha portato in grembo: resta in lei una impressione di morte  impastata con il piacere di aver creato: sensazioni, serpeggianti nei tessuti  sottoposti allo sforzo, di  stanchezza, sofferenza, spossatezza, che racchiudono un odio per il nuovo essere che piange, quasi a protestare per essere stato espulso dall’inconscio materno e ad implorare di volervi ritornare: la madre avverte di liberarsi di un qualcosa che per alcuni aspetti viene vissuto come oggetto parassitario ingombrante  e nello stesso tempo come qualcosa di sé intensamente buono da ri-assumere, coccolare, contenere. Questo ‘oggetto’ che è stato prima  soggetto materno, quando comincia a manifestare la sua essenza di ‘altro’ facendosi sentire attraverso il pianto, viene ascoltato dalla madre come qualcosa di nuovo, estraneo, ingestibile, finché non si instaura in lei la funzione di madre normalmente devota, che assicura contro gli attacchi distruttivi, e contro la affettività an-empatica.

 

Una madre racconta

«Una felicità immensa sentii alla nascita del mio bambino. Ero fiera di me per aver dato alla luce  qualcosa che avevo l’impressione di aver creato io stessa, ma nel contempo sentii senso di vuoto, stanchezza e spossatezza. Mi sorpresi di constatare che il piangere del mio bambino mi desse ai nervi: pochi giorni dopo il parto lo presi dalla culla mentre piangeva in un modo da me ingestibile e lo scaraventai sul letto con rabbia. Ma pensai al contrasto tra questa mia ‘aggressività distruttiva’ e il forte desiderio d’amore  che avevo avuto nel sentirlo parte di me. Pensai al tempo che ora, dopo nato, mi occupava, alla mia vita ricoperta interamente dalla sua, al mio corpo con le sue esigenze autonome soffocato dal suo corpo, al mio spazio tutto coperto dal suo spazio. Un desiderio immenso di recuperare la mia libertà di essere io sola, mi afferrò,  di liberarmi da quel mio dover essere io e lui in una unità: con questi pensieri di disperazione feci il gesto di ‘buttarlo’ sul letto e per un attimo sentii la liberazione.

Ma improvviso comparve un senso di colpa immenso, un lacerarmi dentro, una disperazione di senso opposto a quello legato al desiderio di disfarmene. Colpa e vergogna insieme mi afferrarono come in una tenaglia finché salvifico riapparve l’amore intenso legato al forte desiderio di riparare: tutta la mia vita con il mio bambino  che andava crescendo è stata poi un ricucire le lacerazioni provocate da quel gesto.

Divenni accondiscendente, dolce, mi misi a piangere a dirotto, lo abbracciai implorandogli di perdonarmi, perché sicuramente non avrei mai più fatto quel gesto, e ripensai alla gravidanza, al piacere di sentirmi trasformata e ancora in conflitto con la preoccupazione che la vita che cresceva in me potesse avere qualche difetto. Venne il piacere immenso di coccolarlo vestirlo, lavarlo, allattarlo, di sentire la dualità di lui e me unificata.

E tornò ancora  la preoccupazione che tutto il peso dovesse essere solo mio e che io dovessi essere l’unico e insostituibile perno  del suo mondo, l’ angoscia, che  poi si trasformò istantaneamente  in quel piacere relazionale che tutto fa divenire importante: parlare, inflettere la voce, contenere, manipolare, cullare, il respiro, il ritmo cardiaco, il soddisfare i bisogni in continuo mutamento di lui: tutte attività che costruiscono amore e attendibilità, attività che sono proprie della madre devota, la quale spesso sbaglia, ma sempre interviene per riparare».

Ed è proprio nell’occasionale venir meno della attendibilità che si giunge alla costruzione di amore e di senso di fiducia nel bambino. Ma occorre che la madre sia sufficientemente sostenuta dal marito o dalla assistenza pubblica o da entrambi per essere pronta per un’esperienza in cui può mettere in funzione il suo intuito naturale di sapere perfettamente quali siano i bisogni del bambino, di fame, di gioco, di contenimento: per evitare il fallimento della funzione di madre normalmente devota che può costituirsi come fattore dell’eziologia dell’autismo o di altre malattie.

Sarebbe bello poter aprire un forum in cui le esperienze di madri con bambini piccoli possano essere condivise: Io personalmente potrei fare il raccoglitore di queste esperienze e pensarle insieme, senza la pretesa di sapere e di consigliare ciò che la madre sufficientemente devota ‘sa’ già in modo naturale, oltre che ripetere con Winnicott che è opportuno proteggere sempre l’intuito della madre nel suo primo rapporto con il figlio da interferenze di medici, infermieri, governanti  ecc. che rischiano con il loro intervenire di indebolire la fiducia di lei in se stessa e di conseguenza l’integrità del bambino.

Nunzio Lucarelli

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