Alla scoperta della Pietra Leccese (e non solo)

Viaggio a Lecce dove i maestri artigiani lavorano la pietra leccese e realizzano dei manufatti in cartapesta.

Andrea Guido
Andrea Guido

Nonostante il tempo trascorra inesorabile, varcare Porta Rudiae, una volta tornata a Lecce, riesce sempre a farmi respirare un’aria particolare, quella del centro storico della città dove sono cresciuta, delle vie antiche fatte di bianco, barocco e artigianato. Passeggiando lungo via Giuseppe Libertini, direzione piazza Duomo, m’imbatto in numerose bancarelle ricolme di oggetti e manufatti perlopiù realizzati a mano e la mia attenzione viene catturata soprattutto da coloro i quali stanno lavorando i materiali ancora grezzi. Mi capita di osservare in silenzio un ragazzo che, senza essere distratto dai numerosi passanti, lavora la pietra leccese, una particolare tipologia di roccia calcarea estratta unicamente dalle cave salentine. Plasmata dalle mani degli artisti del luogo, nel tempo la pietra leccese ha dato origine a un’architettura cittadina densa e caratteristica, basti pensare ai rosoni e ai capitelli che ornano i numerosi palazzi, come quello dei Celestini, e le tantissime chiese di Lecce come quella di Santa Croce, di Santa Chiara e del Duomo. Incuriosita dall’operosità del ragazzo, gli domando se quell’arte gli fosse stata tramandata dal padre e Andrea, così si chiama, mi risponde che quella passione l’ha coltivata da solo e che da autodidatta lavora così quella pietra bianca che ha antiche origini ma che ancora oggi può essere estratta dalle cave di Melpignano, Cursi, Sternatia e Zollino. «Gli strati della pietra più difficili da lavorare sono i primi – racconta Andrea – quelli soggetti all’azione esterna, quelli più profondi sono invece più morbidi e malleabili e permettono una loro facile lavorazione». Gatti e lumache sono i soggetti realizzati dalle mani di Andrea ma infiniti e diversi sono i personaggi e le anime che dalla pietra leccese prendono forma popolando i negozietti tipici che invadono le strade della “Firenze del Sud”.

La lavorazione della cartapesta
La lavorazione della cartapesta

Altra arte tipica di questi luoghi è quella della cartapesta, ancora conservo il presepe che mio nonno realizzò con questa tecnica tanti anni fa, prima che io nascessi. Il termine “cartapesta” si riferisce a una poltiglia ricavata dalla macerazione di carta priva di cellulosa, ovvero composta da soli stracci. Un tempo questa poltiglia si otteneva avendo preliminarmente tagliato a piccoli pezzi la carta che poi veniva immersa nell’acqua, dove si lasciava macerare per tre, quattro ore. Estratto dall’acqua, il composto veniva messo in un mortaio di pietra nel quale lo si pestava fino ad ottenere una poltiglia che, venendo poi mescolata con della colla di farina e diluita con dell’acqua, era poi pronta all’uso. Oggi la carta non si pesta più ma si trova direttamente in commercio, ma le fasi di lavorazione di un manufatto restano le stesse di un tempo. Me lo racconta davanti ad una tazzina di caffè Angelo Capoccia, nipote dell’omonimo artista nella scultura e nell’arte della cartapesta scomparso a 91 anni nell’aprile del 2000. «Le opere nate nella bottega leccese di Via Filippo Turati del Maestro – riferisce Angelo – sono oggi diffuse non solo in Italia, ma anche in Giappone, Brasile, Australia, a Malta, Tripoli, Francoforte e New York; nel 1994 una sua opera fu donata a Papa Giovanni Paolo II in visita a Lecce». Discendente di grandi artisti quali Maccagnani, Manzo, Guacci e De Lucrezi, Capoccia andò oltre alla tradizionale realizzazione di soggetti sacri dando vita, grazie al calore delle sue mani, all’infinita passione e al suo grande talento, a una sorta di rivoluzione artistica gremita non solo da angeli, santi e Re Magi ma anche da ballerine, cavalieri, pastori e contadine. Le statue di cartapesta che animano le chiese e che caratterizzano le processioni religiose, nascono da un lungo procedimento: ricoprendo un’“anima” in fil di ferro con della paglia che dà forma al corpo del manufatto, questo viene poi completato da mani, piedi e testa in creta e rivestito da pezzetti di cartapesta che gradualmente cominciano a delineare una fisicità armonica. Uno stile spesso adottato da Angelo Capoccia fu quello “dell’incompiuto”, ovvero quello della scultura proposta allo stato della focheggiatura. 3. Cartapesta_Angelo CaponeLa scultura focheggiata, cioè lavorata con il calore dei ferri incandescenti, veniva così portata a compimento dall’artista che escludeva l’ultima fase tipica della lavorazione dell’opera, quella del colore; così facendo l’oggetto in cartapesta raccoglieva in sé infinite suggestioni cromatiche dal sapore caldo e antico. “L’Arte nel Mondo di Angelo Capoccia”, una mostra interamente dedicata al Maestro, si è da poco conclusa al castello Carlo V di Lecce, ricordando a tutti i suoi visitatori l’universo di cartapesta di un artista che non c’è più e l’inestimabile valore di un’arte da tramandare. Continuando la mia passeggiata per le vie del centro storico, giungo finalmente in piazza Duomo e, circondata dal miele della pietra leccese al sole, mi chiedo se queste arti che raccontano le radici di questa terra così bella continueranno ad esistere in un mondo sempre più globalizzato, nemico dell’estro creativo e della laboriosità artigianale.

Elisabetta Severino

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