Alessia Barela, l’intervista

Ve la ricordate Marta, la madre disattenta dei tre gemelli nella serie di successo scritta da Ivan Cotroneo, Una mamma imperfetta? A darle volto e corpo era l'attrice di origini abruzzesi Alessia Barela. Classe 1974, si è barcamenata tra piccolo e grande schermo, senza dimenticare alcuni anni sulle tavole del palcoscenico che evoca, in quest'intervista, con sorriso e affezione. Alla 14esima edizione del Salento Finibus Terrae la Barela ha presentato, fuori concorso, Il Ministro di Giorgio Amato, un film passato un po' in sordina, ma molto apprezzato dalla critica e dagli spettatori che avevano avuto modo di vederlo. Si tratta di un'opera che non ha paura di mettere in scena le conseguenze della crisi, le collusioni con la politica e i compromessi a cui si può arrivare. L'artista si è raccontata con simpatia e uno sguardo acuto su ciò che ci circonda. La parola ad Alessia Barela.

Alessia Barela, come definiresti il personaggio di questa moglie?
Rita è una donna in crisi con suo marito. Molto probabilmente il suo disagio è dovuto anche al fatto che non le piace questo piegarsi del compagno, il suo essere corrotto. Al contempo, la stima verso di lui viene meno per tutto ciò che gli vede fare. Va detto che quello che lei fa, tanto da renderla un personaggio negativo, sta nel suo assistere a tutto ciò e nell’essere complice. Probabilmente le piacciono i privilegi che le offre questo tipo di vita. Secondo me è consapevole di tutto quello che succede all’interno del nucleo famigliare, ne è complice, ma parallelamente critica suo marito. Chiaramente durante il film farà un percorso psicologico che la porterà a ribellarsi a questo tipo di prostrazione al potere. Detto questo, è una vegana, una seccatrice, è una che sembra aver perso una parte sensuale con l’uomo che le sta accanto, ma che ritrova nel corso degli eventi. Per chi ancora non ha visto Il Ministro non voglio svelare troppo, però c’è anche un altro personaggio femminile e Rita prova fascinazione per la libertà che dimostra questa donna, lei, invece, è ingabbiata in questo tipo di vita di cui dicevamo.

Uno dei meriti del film di Amato sta nel mostrare ciò che magari tutti sappiamo o immaginiamo senza peli sulla lingua. Secondo Alessia Barela, come mai c’è questa reticenza soprattutto nel nostro cinema? Credi che qualcosa stia cambiando?
Posso parlare da attrice. Noi attori ci facciamo anche il problema, a volte, di interpretare dei personaggi negativi o che possano non avere il consenso del pubblico perché molto spesso sei un po’ etichettato. Capita che hai interpretato una parte da cattivo e gli altri pensano che tu possa fare soltanto quello. Credo che lo stesso non coraggio che può verificarsi da parte di noi attori di imbarcarsi in personaggi difficili può essere provato dagli autori. In questo Paese dà molto fastidio lo schieramento. Fare le proprie lotte è pericoloso. Io sono fiera di aver preso parte a questo film, perché trovo che Giorgio sia stato molto temerario nel mettere in scena alcune cose che, ahimè, rispecchiano spesso la realtà dell’Italia, ma che non tutti hanno poi il coraggio di raccontarle.

Dalle tue riflessioni mi sembra che la ponga più su un piano autoriale che non su quello produttivo…
Io penso che riguardi un po’ tutto il meccanismo. Non abbiamo una vera e propria industria cinematografica e non abbiamo più i produttori di una volta che si ipotecavano le case, basta citare Franco Cristaldi, pronto a fare di tutto per un film di cui era convinto. Ci sono delle produzioni che quando arrivano i progetti, secondo me, fanno i conti sugli incassi e se l’argomento può essere pericoloso. Purtroppo ormai il problema sono i numeri nel senso che puoi fare il film più bello del mondo e se non incassa non te ne fanno fare un altro. Ho visto delle opere bellissime che se fossero state straniere sarebbero state osannate, da noi, invece, non sono state prese in considerazione. C’è una distribuzione come la Teodora che ci dà la possibilità di vedere film come Amour (per la regia di Michael Haneke, nda) dimostrando la loro bella dose di audacia così come è audace Andrea Occhipinti (Amministratore unico di Lucky Red, nda). Cito sempre L’attesa di Piero Messina che, può piacere o meno, ma per quanto mi riguarda è stato girato magistralmente e purtroppo non ha incassato. Un regista gira il suo primo film, se non sbanca il botteghino, ahimè non è detto che gliene producano un altro, devi incontrare un produttore che ci creda davvero. La cosa che mi ha fatto capire tutto questo fu l’esempio di Emanuele Crialese che realizzò Respiro (2002), passò inosservato, uscì in Francia dove ebbe un enorme successo e così tornò nelle nostre sale. Resta il fatto che Crialese è un regista che lavora poco da noi ed è, invece, un talento. Penso che il denominatore comune sia, quindi, la convinzione in un progetto e il coraggio di portarlo avanti nonostante sia rischioso o possa dar fastidio a chi ci governa.

barela

Alessia, al di là della rappresentazione che ne dà Il Ministro, a tuo parere qual è lo stato della nostra società?
Siamo talmente, per alcune cose, un po’ terzo mondo che mi trovo veramente in imbarazzo. Quest’anno ci stiamo provando con il MS5, certe volte come obbligo di cittadino vai a votare, ma ammetto che mi sono trovata in serie difficoltà perché non è semplice capire a chi credere e affidarsi.

Dopo tanta gavetta tra i vari mezzi espressivi, che sguardo hai verso i tuoi primi inizi?
A me è successo di fare prima il cinema e poi la televisione. Una delle cose che ricordo degli esordi e che mi ha dato, forse, ad oggi, la maggiore soddisfazione è Velocità massima (2002). Avevo fatto piccoli ruoli in Zora La Vampira dei Manetti Bros. o in Un anno in campagna di Marco Di Tillo. In Velocità massima di Daniele Vicari ho avuto il primo ruolo importante, tra l’altro in un film di un esordiente che, in quel caso, andò in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e il tutto fu davvero gratificante. Ho poi un ricordo di Vicari come un regista di quelli davvero intraprendenti con cui ti fa piacere collaborare. In seguito il percorso è stato altalenante perché il nostro lavoro è così, non è purtroppo consequenziale, puoi fermarti per tanto tempo o ricominciare da capo. L’unica cosa di cui sono molto felice è di aver realizzato tutto ciò che mi piacerebbe guardare come spettatrice.

Dal punto di vista della formazione hai spaziato molto, dalla recitazione in versi con Marisa Fabbri alle lezioni di canto col tenore Gianluca Terranova. Come mai hai avuto subito questo tipo di approccio aperto e vario?
Ho deciso di intraprendere la carriera di attrice abbastanza tardi. Ho visto un saggio della Silvio D’Amico e forse, purtroppo, ho beccato una classe e un’annata che non mi hanno convinta molto, erano tutti molto impostati e poco naturali. Quindi, decisi di non provare a entrare in accademia, certo non è detto che mi avrebbero presa. Seppi che attori come Kim Rossi Stuart, Gianmarco Tognazzi, Claudio Santamaria erano nella scuola di un’insegnante argentina, Beatrice Bracco, per cui decisi di fare tre anni con lei. Al contempo, mi resi anche conto che una preparazione classica puoi sporcarla con dei corsi, lavorando sul metodo e altro, il contrario sarebbe molto più complesso. Formarti con una recitazione neorealista e poi trovarti a interpretare un classico a teatro non è affatto facile perché hai bisogno di aver studiato come portare la voce così come è necessaria la conoscenza di determinati testi. Presa questa consapevolezza, mi son pagata da sola tanti corsi, compreso quello con Carlo Merlo perché, per esempio, non usavo bene la voce e anche per questo ho scelto di fare canto con Terranova. C’è un’insegnante dell’Actors Studio che ogni tanto viene da noi, si chiama Kristin Linklater e anche lei è stata fondamentale in questo tipo di lavoro. Devo dire che non è un aspetto che colpisce tanti, io, invece, faccio molto caso alle voci degli attori, però mi sembra che da noi non ci sia tutta quest’attenzione.

Che ricordo ha Alessia Barela, o se ha un aneddoto da condividere, del periodo nei teatri off romani?
Ne ho moltissimi di ricordi, mi sono divertita come una pazza. Avevamo una compagnia, dove c’era anche Giorgio Colangeli. Mi ricordo che portammo in giro uno spettacolo che ebbe abbastanza successo. Si chiamava La catena di Alessandro Vannucci, uno scenografo tra i più importanti che abbiamo, ma scrive anche benissimo e ne curò anche la regia con Colangeli e S. Grossi. Eravamo una compagnia di emotivi: io non volevo mai entrare in scena e Giorgio Colangeli mi dava delle spinte di incoraggiamento, poi naturalmente quando salivo non volevo più scendere. Abbiamo fatto molte rappresentazioni in teatri piccoli come il Teatro Colosseo, dove il pubblico è vicinissimo e ne senti il respiro, diventa così un viaggio che tu fai dall’inizio alla fine. Un aneddoto che ricordo adesso sorridendo, ma in quell’istante no, c’è. Stavamo portando in tournée uno spettacolo in cui eravamo degli studenti di un’accademia d’arte ed erano previsti dei leggii. Una volta eravamo in scena a Salerno, eravamo in alto e c’era talmente tanto vento che questi leggii cominciarono a cadere per cui cominciammo a integrare. A un tratto, i due attori che erano con me hanno iniziato a ridere come quando sei a scuola e in teoria dovresti trattenerti, ma loro non ci riuscivano. Si son messi di schiena al pubblico per non farsi vedere, ma dovevano darmi la battuta, dopo un po’ sono usciti di scena e io, che mi trovavo di fronte alla platea, ho dovuto iniziare a improvvisare.

Alessia Barela ne Il Ministro di Giorgio Amato
Alessia Barela ne Il Ministro di Giorgio Amato

Immagino sia stato, però, molto istruttivo…
Assolutamente, esperienze del genere ti formano. Io non ho fatto più teatro perché per ben due volte ero in prova e poi mi sono arrivate due proposte irrinunciabili, ma ritornerei ben volentieri.

Mi ha molto incuriosita la tua esperienza da consulente e direttrice artistica di festival…
Ero una di quelle che andava al Nuovo Sacher e mi ricordo che Nanni Moretti era uno dei pochissimi che offriva la possibilità di vedere i corti dei giovani autori, proponendolo prima della visione del lungometraggio in programma ed era una cosa necessaria perché i corti sono difficili in quanto in un tempo molto breve devi raccontare una storia. Il cortometraggio è un biglietto da visita per comprendere se sei un talentuoso, se hai delle idee e, un tempo, spesso dal corto veniva realizzato un film. Accade ancora oggi, ma più raramente perché i cortometraggi non hanno più mercato ed è difficile vederli. L’idea del festival, il Fullmoon Ponza Festival, è nata dal voler proporre corti e documentari. Con Francesca Ficus, un’attrice e una delle mie migliori amiche, e con Claudia Gerini ci siamo proposte di realizzare una kermesse, fatta da attrici, per dare opportunità ai giovani autori che, dopo qualche anno, potrebbero diventare i registi del momento. Ad esempio abbiamo premiato Sydney Sibilia in tempi non sospetti (regista di Smetto quando voglio, nda), ma come lui tanti altri. Mi piaceva molto fare la selezione e noi facevamo davvero tutto da sole. Lo abbiamo portato avanti per tre anni, il primo ci ha aiutato molto Ducati Energia e poi, purtroppo, la fatica più grande è sempre la stessa: cercare gli sponsor e chi ti sostiene. I soldi ci servivano non per pagare qualcuna di noi, ma per acquistare i biglietti, far arrivare gli artisti per prender parte alla manifestazione, pagare gli alberghi. Noi abbiamo fatto un piccolo festival di cui si è parlato tantissimo, vista la location, Ponza, poi in un’edizione abbiamo avuto come ospiti Argentero, Brizzi, Cotroneo, Favino, Crescentini, giusto per citarne alcuni. Era previsto anche molto tempo libero dovendo aspettare che calasse il sole per le proiezioni, per cui durante il giorno c’erano degli incontri, la gente si conosceva, andava in spiaggia insieme.

Alessia Barela in "Velocità Massima"
Alessia Barela in “Velocità Massima”

Hai in uscita due serie targate RAI La Catturandi e La verità di Anna, puoi anticiparci qualcosa?
La Catturandi è un poliziesco con Alessio Boni, Anita Caprioli, Massimo Ghini, io interpreto la moglie di quest’ultimo, ci sarà una storia di gelosia e l’impegno nel riaccaparrarsi questo marito a tutti i costi. La regia è di Fabrizio Costa. Lo abbiamo girato tempo fa a Palermo, poi ci sono stati degli slittamenti di messa in onda. Le prime due puntate sono previste per il 19 e 20 settembre, mentre le altre saranno trasmesse i lunedì seguenti. Per quanto riguarda La verità di Anna posso dirvi che abbiamo girato a Trieste, non la conoscevo come città ed è meravigliosa. La storia vede protagonista un commissario, interpretato da Lino Guanciale, che viene ucciso e mentre sta morendo ha una visione del futuro per cui la sua anima non riesce a trapassare, rimane in un limbo. Si ritrova a indagare da morto chi possa averlo assassinato ed è una storia che può ricordare un po’ Ghost. L’unica persona che riesce a vederlo e in grado di aiutarlo nel compiere materialmente delle cose è una ragazza, a cui dà volto Valentina Romani. Io vesto i panni della zia di sua zia con cui lei vive. La nostra famiglia ha una strana storia, si scoprirà man mano come mai lei sia in grado di vedere i defunti. Sicuramente è un plot suggestivo, io avevo già lavorato con Carmine Elia in Terapia d’urgenza (serie tv andata in onda su RaiDue da fine agosto 2008, nda), abbiamo lavorato benissimo anche con gli altri attori. Non posso non sottolineare che la sceneggiatura è scritta da Lucarelli e Rigosi.

Sembra molto particolare come genere…
Sì, credo sia un buon prodotto e anche un po’ di rottura adesso che c’è il filone famigliare.

Quali sono i prossimi progetti di Alessia Barela?
Dovrebbe uscire a ottobre un film Una settimana diversa (t.o. Seven Days) con Bruno Todeschini e Gianfelice Imparato. Si tratta di una produzione italo-svizzero-francese, per la regia di Rolando Colla. Abbiamo girato a Levanto ed è anche questa una storia particolare. Per il resto non avendo ancora nulla di definitivo non posso anticipare troppo, so solo che dovrei iniziare a girare una serie a settembre.

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