Colloqui, l’aspirante giornalista e il caporedattore disilluso

Il racconto che leggerete s’ispira a fatti realmente accaduti e vuole essere un motivo per riflettere sul giornalismo e sui giornalisti di oggi.

    colloqui-aspiranti-giornalistiAndrea, aspirante giornalista allo sbaraglio, guardò il suo caporedattore e, con fare ansioso, rispose alla prima di una lunga serie di domande, piuttosto vaghe, dalle cui risposte poco poteva trapelare di quello che lui veramente era. In realtà nessuno ancora gli aveva dato l’opportunità di mettersi alla prova, di giocare sul campo, di dare tutto se stesso per un progetto. Aveva trascorso gli ultimi cinque anni tra i banchi delle sempre più affollate aule universitarie, sperando che, una volta laureato in Scienze della Comunicazione, potesse realizzare quell’obiettivo per il quale sentiva di essere nato. Voleva fare il giornalista, da sempre, dall’età adolescenziale, ma aveva deciso di dedicarsi prima allo studio per affinare la Lingua (anche se poi all’Università non aveva sostenuto nemmeno un esame d’italiano scritto), perché – gli dicevano tutti – il più alto titolo di studio è vitale nel moderno mercato del lavoro. Lui nel frattempo, tra un esame e l’altro, continuava a leggere i vecchi articoli di Indro Montanelli, di Giorgio Bocca, di Enzo Biagi e di Oriana Fallaci, con l’avidità di chi ha tanto da imparare e con la curiosità del reporter.

Il giorno della Laurea era arrivato, dopo rinunce e notti insonni. Quando uscì dall’aula magna, Andrea si sentì bene. Adesso sì che avrebbe potuto esercitare la sua amata professione. Ma, sin da subito, si presentarono innumerevoli difficoltà, per le quali purtroppo lui non era stato preparato in modo adeguato. Quando ritornò con la mente in tempo presente, si accorse che il  caporedattore lo guardava con aria interrogativa e disillusa. «Allora, perché vuole fare il giornalista?». Chissà da quanto tempo gli aveva fatto quella domanda. Lui contrasse le spalle e disse quasi sottovoce, con timore, visualizzando l’ennesimo rifiuto e un’altra cocente delusione: «Non lo so più ormai, vorrei solo imparare, ma mi dicono che non ho esperienza, che devo maturarla sul campo, a volte addirittura che sono troppo qualificato e che ho cominciato tardi. Se queste cose me le avessero dette quindici o dieci anni fa, avrei fatto la dura gavetta, quella di una volta, e mi sarei messo in gioco prima. Io non ho paura e invece… Comunque voglio fare il giornalista perché credo nella forza delle notizie, nei fatti, nudi e crudi… voglio informare il lettore, inoltre…amo la scrittura, però ritengo che essa sia soltanto una delle tante forme del giornalismo e non l’essenza di questa professione, il cui centro è solo la notizia; certo poi… ci sono gli editoriali, le recensioni, le rubriche, ma sconfiniamo nel campo delle pure opinioni, almeno io la penso così. Le notizie sono un’altra cosa e per darle bisogna essere dotati del cosiddetto fiuto della notizia conservando una certa etica professionale». Il caporedattore improvvisamente alzò la testa e per la prima volta da quando Andrea era entrato nella stanza mostrò un certo interesse. Nell’ultimo decennio di giovani veramente motivati ne aveva visti troppo pochi. Si arrendevano subito. Gli orari di lavoro erano, secondo molti di loro, proibitivi e poi si lavorava anche nei weekend; quindi la maggioranza decideva di andare a cercare fortuna altrove, certamente in qualche altro settore. La sua redazione era costituita da giornalisti della vecchia guardia, che lavoravano anche sul portale. La concorrenza invece stava affidando l’intera gestione dei siti web a giovani praticanti che in questo modo – sostenevano i superiori – si esercitavano, a discapito però degli utenti, i quali non potendo o non volendo pagare per la versione cartacea, certamente più affidabile, si ritrovavano a leggere notizie mal scritte e poco veritiere. Ragazzi che, per aumentare i clic e ottenere una promozione nonché un compenso maggiore, realizzavano gossip anziché dell’ottimo giornalismo che avrebbe certamente aiutato il Paese a rinascere. E il management non voleva investire risorse umane valide che passassero ai giovani, proprio come in una bottega del Rinascimento, i ferri del mestiere. Michele Di Giulia era un uomo dagli alti principi morali. Lui voleva persone motivate, che amavano quel lavoro e al contempo rispettavano i lettori; gente che aveva voglia di imparare. E questo ragazzo gli ispirava fiducia. Perché allora non dargli una possibilità?

 

Maria Ianniciello

 

Commenti

commenti

Lascia un commento

Torna in alto