X-Men: Apocalisse. Trailer, trama e recensione

X-Men: Apocalisse contiene in sé quanto di più entusiasmante del Marvel Cinematic Universe: un “melting pot” ribollente di genie mutanti ribelli e miti fondativi che racchiudono un universo spazio-temporale sempre più orientato verso un passato leggendario. Se l’escamotage per l’ennesimo re-start del 2014 “X-Men – Giorni di un futuro passato” è stato l’intreccio di due time-line diverse a cavallo tra presente e passato (gli anni Settanta), in questo nuovo episodio si parte da un tempo ancora più lontano: il 3.600 a.C., aetas aurea dell’antico Egitto che si riallaccia poi al 1983 in piena età reaganiana. Ambientato dieci anni dopo le vicende del penultimo film di Singer, non può brillare di luce propria, essendo una delle molte varianti – più maestosa, spettacolare e mastodontica che mai – di una storia che nel corso degli anni è stata ricombinata e ricostruita seguendo differenti fils rouges narrativi; tuttavia, nel rispetto delle norme di casa Marvel, quella che a tutti gli effetti è stata un’operazione ad alto tasso di rischio, si è rivelata una scommessa vinta a tutti gli effetti. Poteva diventare un insulso blockbuster in salsa peplum con tanto di antichi dei pagani resi immortali e invece la scelta di riscrivere le origini dei mutanti partendo dal loro fondatore, il dio En Sabah Nur (un irriconoscibile e cupissimo Oscar Isaac), ha dato un tocco mitologico a una materia che, come hanno insegnato soprattutto gli ultimi episodi degli Avengers, è stata dispiegata a cavallo di generi cinematografici diversi. La sfida più grande per Singer è stata quella di dare una nuova coesione narrativa all’impianto corale dei film attraverso la riconfigurazione delle fisionomie e delle diverse personalità degli eroi.

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Dal passato al presente, X-Men: Apocalisse, converge poi verso uno scontro finale che, se da una parte risulta il più classico e sicuro punto di arrivo della storia, dall’altra riesce a rendere molto bene l’idea di un mondo spaccato in due, tra i mutanti in rivolta contro se stessi e contro chi gli ha dato vita. Il film, al contrario di quanto di malsano vi era in “Avengers – age of Ultron” – e mi riferisco al delirio estetico estremamente ingigantito nelle guerriglie a getto continuo – supera di gran lunga l’ostacolo più grande di ogni avventura odierna che tratta di supereroi, cioè il limitarsi al solo appagamento visivo, per agganciarsi all’esistenzialismo tout court del freak emarginato dalla società dei normali o divinizzato senza remora alcuna.

Ma c’è spazio anche per una riflessione molto importante sul ruolo dell’idolo giovanile portato alla ribalta proprio in virtù della sua diversità; nel caso in questione sembra esserci un aggancio alla realtà del divismo esasperato di cui stanno facendo esperienza Jennifer Lawrence (nei panni di Mystica) e Oscar Isaac (il villain egizio Apocalisse), nuovi astri di uno star system sempre più incline all’intossicazione virale. Insomma, al netto dei validi meriti artistici di X-Men: Apocalisse, si scorgono in filigrana contenuti complessi e stratificati, talvolta sfumati nel dramma – è il caso delle infinite traversie di Magneto – riconducibili sempre e comunque a un’idea di cinema “superomistico” modellato non solo sull’onnipotenza del guerriero, ma anche sulla sua vulnerabilità e sulle sue debolezze. Di seguito la trama nei dettagli di X-Men: Apocalisse e il trailer: 3.600 a.C. In principio ci fu solo lui, il tonante En Sabah Nur, meglio noto come Apocalisse, demiurgo e guida dei mutanti fin dagli albori della civiltà. Risvegliatosi dopo un sonno durato millenni, Apocalisse ha il solo desiderio di infliggere una dura punizione al genere umano e per questo, servendosi di alcuni suoi figli – tra cui Magneto – ripiomba sulla terra per distruggere ciò che considera ormai un frutto marcio. La lotta si consumerà nel 1983, in piena età reaganiana e schierata contro il distruttore biblico ci sarà una sacca di resistenza guidata da Mystica e altri giovani X-Men.

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