Il nome del figlio, nel film di Archibugi l’Italia di ieri e di oggi

Il nome del figlio, film di Francesca Archibugi, si interroga sull’Italia tra passato e presente attraverso una normale lite di famiglia.

Il nome del figlio filmA volte la scelta del nome di un figlio può suscitare discordie tra amici e parenti, perché i nomi di per sé non sono belli o brutti, ma diventano tali in base alle emozioni associate a un determinato soggetto che porta quel nome. Questo concetto è espresso bene ne Il nome del figlio, il film di Francesca Archibugi e uscito al cinema il 22 gennaio 2015. La macchina da presa isola da subito il campo d’azione su cui si muovono quotidianamente i personaggi e lo fa con campi lunghi e lunghissimi. Ampie panoramiche dall’alto ci mostrano, infatti, la Roma dei quartieri e non quella dei papi e degli imperatori romani, non del lusso e dello sfarzo bensì la Roma dei romani, che genuina contempla se stessa e la sua grande bellezza. La Roma del popolo, insomma. La Roma di periferia, dove è nata Simona (Micaela Ramazzotti), autrice di un romanzo di successo e figlia di un’Italia che legge poco i classici e che non sa nulla di filosofia. La macchina da presa non emette giudizi, piuttosto – attraverso Simona – ci fa conoscere gli altri personaggi che dalla carta si materializzano sulla scena proprio come accade in un’opera teatrale. Difatti Il nome del figlio è il remake del film francese Cena tra  amici, che a sua volta è la trasposizione cinematografica della pièce Le prénom di Matthieu Delaporte e Alexandre De la Atellière. Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, anziché basarsi esclusivamente sulla pellicola, trovano ispirazione nel teatro e danno così inizio al gioco delle parti, conducendoci nell’ambiente domestico di Betta (Valeria Golino) e Sandro (Luigi Lo Cascio), dove si sta per svolgere una cena tra amici. Simona sta rilasciando un’intervista in diretta a RDS, mentre il marito, Paolo (Alessandro Gassmann), l’ascolta in auto con un sorriso compiaciuto. La sua bellissima moglie gli darà presto un figlio maschio. Pian piano conosciamo il passato dei personaggi con una serie di flashback e capiamo quali sono i legami affettivi che li uniscono. Entriamo in casa di Betta e Sandro. Lei, insegnante, è indaffarata nel preparare le pietanze per la cena. Lui – docente universitario e scrittore di talento ma frustrato perché i suoi saggi impegnativi sono poco letti – twitta con lo smartphone ignorando i bisogni della moglie. Sappiamo che hanno due figli e che stanno attraversando una crisi coniugale. E poi c’è Claudio (Rocco Papaleo), musicista e amico d’infanzia di Betta, Sandro e Paolo. I quattro amici e parenti si riuniscono per cena e, mentre aspettano l’arrivo di Simona, qualcosa d’inaspettato accade come succede spesso in famiglia. Paolo rivela al resto del gruppo il nome del figlio tanto atteso così la disputa ha inizio. Il nome del figlioIl dramma familiare simboleggia il dissidio di un popolo che, in nome della politica, scende in campo per conservare uno status che vive solo nella mente di una cerchia di persone. Destra e Sinistra. Fascismo e Comunismo. I progressisti di ieri sono i conservatori di oggi e le giovani generazioni, prive di memoria storica, chi sono? La macchina da presa svolge in maniera efficace il suo ruolo, portando la tensione al suo punto più alto proprio quando sulla scena compare Simona, nota stonata in un ambiente d’intellettuali che continuano ad accusare il popolo minuto dei disastri del Paese. L’aspetto più curioso del film è che il dibattito, anziché svolgersi per strada, ha luogo in una casa stracolma di libri. Tutto si compie tra le mura di quest’appartamento, perché le ansie collettive si sviluppano nelle famiglie, cioè nel proprio clan di origine. Siamo evoluti e al contempo così primitivi nelle nostre contraddizioni, giacché la paura atavica e biologica dell’isolamento ci porta oggi come ieri ad attivare dei meccanismi di difesa interni, alimentati dai sensi colpa, dai quali nasce il rispetto fuorviante e deleterio delle convenzioni sociali. Basta, però, una piccola frattura per far diventare pensieri non espressi parole offensive sfociate da risentimenti e rabbia. Nel nome del figlio film ArchibugiPaolo invece si prende gioco di sua sorella Betta, del suo amico Claudio e di suo cognato Sandro, perché conosce i loro punti deboli. Un personaggio ben costruito, quello di Paolo, che grazie all’interpretazione magistrale di Alessandro Gassmann, è se stesso fino in fondo; come un direttore d’orchestra detta le regole e ingannando tutti si comporta da regista oltre che da moderno giullare fino a quando la verità non viene a galla e la prima di una serie di tensioni si scioglie sulle note di Telefonami tra vent’anni di Lucio Dalla. Questa è la scena più bella de Il nome del figlio, film intenso mai noioso e che, pur essendo un remake, è più innovativo della versione originale forse perché esso inquadra con una lucidità disarmante il substrato socioculturale del Bel Paese. La regista, che ha curato la sceneggiatura con Francesco Piccolo, reinventa i personaggi in chiave italiana eliminando la voce narrante di Cena tra amici, di cui nel complesso Archibugi e Piccolo mantengono la trama. I personaggi nostrani hanno in comune con quelli francesi ansie, pregiudizi e retaggi storici di un’Europa che guarda al passato (giustamente) con terrore, sebbene siano meno raffinati e più precari nelle loro misere esistenze degli antesignani d’oltralpe.

Maria Ianniciello

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