“I Corpi Estranei”: la recensione del film con Filippo Timi

I corpi estranei - foto di Elda Lo Cascio
I corpi estranei – foto di Elda Lo Cascio

Mirko Locatelli è un regista che non ha diretto molti film. Si è fatto conoscere al grande pubblico nel 2008, con lo splendido “Il primo giorno d’inverno”. Ora è arrivato per lui il momento di fare un salto di qualità, ma non verso produzioni commerciali e facili, quanto piuttosto verso la realizzazione di film che con l’Italia e l’italianità hanno ben poco da spartire. Guardando il suo ultimo film, “I Corpi Estranei”, sembra, infatti, di assistere a una pellicola francese o belga. Lo stile è quello del documentario, con la telecamera che diventa l’ombra di Filippo Timi, protagonista di questa straordinaria storia di coraggio e di dignità.

I corpi estranei - foto di Elda Lo Cascio
I corpi estranei – foto di Elda Lo Cascio

Antonio è un padre che si trova a dover affrontare quella che forse è una delle prove più dure e terribili per un genitore: la malattia del proprio bambino. Il cancro ha colpito, infatti, il piccolo Pietro e l’unica speranza è quella di trasferirsi momentaneamente al nord per cercare una cura. Antonio prende in prestito l’auto del suocero e attraversa l’Italia per arrivare a Milano, in un ospedale specializzato in oncologia pediatrica. Un viaggio affrontato in solitudine (la moglie è costretta a stare a casa, al sud, per accudire gli altri due figli), con pochi soldi in tasca e con il cuore colmo di rabbia e di speranza. Nel capoluogo lombardo l’uomo vive con estremo pudore e dignità la sua situazione. Non si fida di nessuno, non riesce a comunicare con le altre persone presenti dentro e fuori l’ospedale. Non mostra cedimenti né momenti di pianto o di rabbia. E’ come se fosse la guardia del corpo del suo bambino, lo osserva, lo aiuta a mangiare e ad affrontare quotidianamente il dolore e l’operazione chirurgica che potrà, forse, portarlo alla guarigione. La moglie è una non presenza, una figura lasciata ai margini, per far emergere la figura del padre. Tutto ruota intorno a lui, le scene vivono attraverso i suoi occhi e lo spettatore viene catapultato nella storia, scoprendo e soffrendo insieme al protagonista. Gli altri personaggi, in particolare Jaber, giovane tunisino presente in ospedale per assistere un amico malato terminale, sono come “corpi estranei” per Antonio. Comunicare con loro è quasi impossibile perché l’uomo non accetta il cambiamento. I dialoghi nel film sono ridotti all’osso: spazio, quindi, a gesti, sguardi, lunghi silenzi che gridano forte più delle parole.

Anche le musiche sono minimali: due i brani che, delicatamente, accompagnano le scene più intense. Canzoni, come “Il Futuro”, che portano la firma dei Baustelle e che impreziosiscono immagini e sottolineano emozioni, siano esse positive o negative.

Ottima la prova attoriale di Filippo Timi, artista a tutto tondo che, dal teatro al cinema, dal doppiaggio alla scrittura, ha sempre regalato performance importanti e convincenti. L’artista 40enne si è messo nuovamente in gioco, affrontando un ruolo non facile e ricco di imprevisti (recitare con un bambino molto piccolo è forse la sfida più complicata anche per un attore di lunga esperienza e di ampia versatilità). Nota di merito anche per il debuttante Jaouher Brahim, classe 1996, che ha lavorato per oltre un anno con Mirko Locatelli per interpretare al meglio il ruolo di Jaber, imparando a gestire dolore, paure e sentimenti contrastanti senza cadere mai alla banalità e alla lacrima facile.

Trailer: http://youtu.be/aYEcNDLcNeQ

Silvia Marchetti

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