MUTAMENTI E METAMORFOSI, MOSTRA DI PITTUTA E LETTERATURA

Piera Paladini, Apollo e Dafne, 2012, tempera acrilica su tela di juta

Pittura e letteratura si fondono per dare vita ad una mostra dal sapore tutto particolare. In esposizione dieci dipinti di grandi dimensioni realizzati da Piero Paladini negli ultimi mesi e dedicati alle “Metamorfosi” di Ovidio, accompagnati da testi dello scrittore Piero Grima. La mostra verrà inaugurata venerdì 13 luglio 2012 al Doubletree by Hilton Acaya Golf Resort ad Acaya (Lecce) e rimarrà aperta al pubblico fino al 30 agosto.

Secondo Grima «il nostro proposito è si quello di parlar di metamorfosi ma, piuttosto, per tentare di spiegare in qualche modo, ma non certo per giustificare, le trasformazioni (o forse i trasformismi) voluti o indotti, dall’uomo dei nostri tempi che, dimentico di determinati valori spirituali, si lascia manipolare e, quindi, trasformare da eventi tutt’altro che spirituali. Non vi è dubbio che l’uomo nel corso dei millenni, dei secoli, degli anni, in somma del divenire, trasformazioni spesso drammatiche ed inspiegabili ma sempre, in ogni occasione, tragicamente sofferte. Tali sconvolgimenti lo colpiscono nel corpo ma, soprattutto, nella psiche, o nell’ anima se volete».

Nel testo critico di Lorenzo Madaro che accompagna la mostra, si legge: «Ancora una volta Piero Paladini si muove con stupore nei sentieri complessi del mito, con un fare solo apparentemente disinvolto, poiché ogni dipinto è frutto di un processo lento di meditazione iconografica e formale. Non a caso l’artista predilige agire contemporaneamente su più opere, in modo tale da digerire con estrema calma e dedizione ogni singolo aspetto di un tema e delle fasi di lavorazione delle sue tele dalla tramatura grezza. […]. A quell’interesse verso il “racconto”, inteso come descrizione approfondita – ma mai tediosa – di talune immagini estrapolate dalla letteratura, forse quella cavalleresca, approfondito da Paladini fino alcuni anni fa, i dipinti in mostra contrassegnano nuovi step, legati essenzialmente a una semplificazione dell’immagine e quindi a una sintesi formale che presagisce nuove ricerche figurative.  Così Apollo e Dafne si muovono con un passo irruento ma assolutamente morbido, in una selva architettata con poche spirali da cui emergono fiori stilizzati e volatili forse estrapolati da un affresco della memoria o da una miniatura medievale vagheggiata in chissà quale dei suoi labirintici percorsi. Le cromìe sono quelle degli ocra, con un fondo monocromo che ribadisce quell’attenzione formale rigorosa che poi ha sempre distinto il suo operare nel mondo dell’arte. E, ancora una volta, le figure sono manichini, le teste sono maschere e i loro movimenti risultano intrisi di surrealtà.

Con Amore e Psiche la gestualità diventa un elemento essenziale di tutta la composizione. Si muovono con uno scatto energico, animando così il paesaggio impossibile tratteggiato con quei cinque tronchi che non sono altro che un espediente, quasi teatrale, per ambientare la scena e suggerire un senso di profondità. L’espressività, ancora una volta, è sondata attraverso il segno, mentre l’eterea inconsistenza del mito si risolve assemblando braccia e gambe a busti presi idealmente in prestito da qualche antiquario.

Dieci dipinti – tutti di grandi dimensioni – danno così vita a un nuovo universo contaminato, a puzzle di immagini che, come ha asserito Grima, non sono altre che metafore. E questa lettura è confermata dal labirintico paesaggio entro cui agisce Teseo, nelle visioni plurali suggerite da Narciso e Eco, Dedalo e Icaro, L’età del ferro, L’età dell’argento e Giove, Io, Argo, sempre coerente a quella pittura che l’ha spinto in un cammino artistico solitario e solo apparentemente anacronistico. E in tal senso rimane valida l’analisi che Luciano Caramel ha sintetizzato con chiarezza a proposito di un ciclo di opere dedicate a Gian Giacomo dell’Acaya: “La reinvenzione riguarda quindi anche la resa pittorica, pur essa ‘contemporanea’, seppur con un’intenzionale patina di inattualità nutrita dal riemergere libero di echi figurali remoti, funzionali a creare un’atmosfera”». (Nella foto il quadro di Piero Paladini, Apollo e Dafne, 2012, tempera acrilica su tela di juta).

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