UNICEF, PIÙ AIUTI AI BAMBINI SIRIANI

Giacomo Guerrera – © Unicef

Il conflitto in Siria si sta facendo sempre più aspro e le divergenze tra Oriente e Occidente rendono più difficile la mediazione e l’accordo politico. Tante le soluzioni ipotizzate fino a questo momento, ma nessuna è veramente efficace per fermare le stragi in corso e in Siria si continua a combattere, con le armi vere e con quelle della diplomazia. Una situazione gravissima che, dal 2011 a oggi, ha prodotto oltre 45 mila morti, tra cui tantissimi bambini, che da più di un anno soffrono per un conflitto di cui non hanno colpe. L’Unicef Italia ha condannato senza riserve le ultime “stragi di Natale” che ancora una volta hanno mietuto vittime proprio tra i bambini che sono i più esposti in questo interminabile conflitto.

«La situazione interna è drammatica – spiga Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia – Assad si sente minacciato e reagisce con la violenza colpendo quelle fasce più deboli della popolazione, i civili che con la guerra non hanno nulla a che vedere». Fin dall’inizio delle ostilità l’Unicef è impegnato all’interno ed all’esterno della Siria con iniziative volte a proteggere la vita dei bambini siriani.

«I nostri operatori lavorano su due fronti. Nella zona interna, a confine con l’Iraq, ci occupiamo degli sfollati, che hanno raggiunto i circa 3 milioni. La metà sono bambini. Nei Paesi limitrofi ci prendiamo cura dei rifugiati. I problemi sono tanti, soprattutto ora che è inverno. Per questo l’Unicef da settimane ha avviato un programma volto a sostenere i bambini e le loro famiglie durante il periodo invernale denominato “Winterisation” attraverso forniture di abiti, vestiti, materiale per riscaldarsi, coperte. Misure fondamentali rivolte specialmente ai bambini rifugiati nei campi profughi che sono oltre 230 mila (regolarmente registrati) che soffrono a causa di indumenti non adeguati a questa stagione ed alle temperature sempre più basse».

Il presidente dell’Unicef Italia lancia un appello a tutti i cittadini affinché non restino insensibili di fronte alle sofferenze dei bambini siriani: «Abbiamo bisogno di 44 milioni di dollari, al momento ne abbiamo raccolti soltanto 11 e speriamo che arrivino altre donazioni. I problemi sono tantissimi: l’assistenza sanitaria, il rifornimento idrico, la scarsa igiene. Per prevenire la diffusione di epidemie abbiamo avviato una campagna di vaccinazione che ha raggiunto 1 milione e 350 mila bambini con vaccinazioni antipolio e circa 1 milione 100 mila con vaccinazioni contro il morbillo. I bambini traumatizzati hanno bisogno anche di assistenza psicologica. In Siria abbiamo creato sei spazi a misura di bambino in cui lavora personale esperto, ma è ancora troppo poco, il programma va esteso anche ai rifugiati».

Oltre al costante bisogno di fondi, sono anche altri i problemi che l’Unicef deve fronteggiare: «Il nostro lavoro – racconta Guerrera – si svolge sia all’interno che all’esterno della Siria ma entro i confini nazionali è tutto più difficile, dobbiamo divulgare le informazioni in nostro possesso con molta attenzione altrimenti rischiamo che i nostri operatori vengano espulsi e il lavoro di tanti mesi vanificato. A noi non interessa la politica, vogliamo solo proteggere i bambini, ma spesso gli operatori sono visti come figure scomode».

Il numero uno dell’Unicef prova ad immaginare quali scenari futuri si prospettano sul fronte umanitario. «La situazione è in costante evoluzione ed è difficile fare previsioni. Gli scenari futuri sono legati all’evoluzione del conflitto interno. La morte di uomini, donne e bambini è sistematica e spesso non fa notizia ma abbiamo il dovere di fermare queste stragi. Qualche giorno fa ho avuto un colloquio con il Ministro Terzi che si è impegnato per la causa siriana. L’Italia è uno dei Paesi che si è maggiormente distinto per gli aiuti concreti e la prevenzione. Adesso l’Unicef sta sviluppando un altro progetto, questa volta in Giordania e Libano, per insegnare ai bambini la tolleranza e il rispetto per chi ha una cultura e una religione diversa. Cerchiamo di integrare i rifugiati siriani nelle scuole locali e, dove non è possibile, creiamo delle strutture apposite per permettere a tutti di studiare e soprattutto per insegnare loro a vivere con gli altri. I primi riscontri dicono che si tratta di un progetto valido».

Piera Vincenti

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