Life Itself, trama e recensione del film su Roger Ebert

La trama e la recensione del film su Robert Ebert Life Iself, diretto da Steve James che filma la vita del primo critico cinematografico della storia a vincere il premio Pulitzer.

Life Itself tramaNei panni di Roger Ebert, critico cinematografico, giornalista e grande uomo di spettacolo, l’ipotetica recensione di Life Itself di Steve James, avrebbe avuto il sistema di voto “popolare” a base di stellette e pollice in su (a indicare un netto gradimento). Fu proprio Ebert, a partire dal 1967, anno in cui era cronista locale nell’Illinois, a operare, nel serioso mondo della critica cinematografica, una rivoluzione, per alcuni demagogica e populista, per altri semplicemente democratica, del modo di “leggere” e interpretare un film. Scrittore sagace e uomo di spettacolo dal tagliente humour, Ebert, famelico lettore e spettatore compulsivo, consacrò la sua vita al grande schermo aggiudicandosi nel 1975, per la prima volta nella storia, il Premio Pulitzer dopo l’intensa attività di critico al Chicago Sun-Times, presso cui strinse un lungo sodalizio dal 1967 al 2013.Devoto fan dell’italo-americanità di Martin Scorsese (anche in veste di co-produttore) e dei suoi affreschi “neo-realisti”, esaltò Toro Scatenato e stroncò irrimediabilmente Il Colore dei soldi, nonostante la grande amicizia che lo legava al regista di Taxi Driver. Werner Herzog gli dedicò Encounters at the end of the world, candidato nel 2007 al premio Oscar come miglior documentario e Ramin Baharani gli sarà per sempre riconoscente perché lo definì “il regista del decennio”, esaltando il suo secondo lungometraggio Chop Shop.

Life Itself recensione film su Roger Ebert

Questi e altri aspetti della vita di Roger Ebert sono raccontati, in tono mai indulgente o melodrammatico, da Steve James nel biopic tratto dall’omonima autobiografia edita nel 2011. Il progetto di James, a un anno dall’uscita del libro Life Itself, sarebbe però dovuto essere molto diverso dall’opera uscita sugli schermi italiani il 19 febbraio. Il critico, alfiere della pop-culture a stelle e strisce, era ancora in vita durante la fase di lavorazione, ma la sua malattia si aggravò al punto che, la troupe dovette seguirlo nelle sue estenuanti trasferte ospedaliere e durante tutto il decorso del male incurabile che lo condurrà alla morte nel 2013. Roger diede piena disponibilità alle riprese del suo calvario, dal primo ricovero, all’asportazione della mandibola. Gradualmente perse la voce e la capacità di nutrirsi autonomamente, ma l’impeto irrefrenabile di comunicare con i suoi numerosissimi lettori e spettatori non venne mai meno, tanto che, nel 2008 continuò indomito la sua attività di critico onnivoro fondando un blog di recensioni di enorme successo. La pellicola indaga con piglio vitalistico la straordinaria parabola umana di un ragazzo dalle grandi aspirazioni, che fu capace di realizzare il suo sogno nella, per molti utopica, “promised land”, terra di opportunità ma anche di fallimenti. Aiutato dalla premurosa moglie Chaz e supportato da una vastissima schiera di ammiratori, Roger Ebert esplose, col suo multiforme e poliedrico talento, nelle schermaglie verbali dei programmi tv condotti con Gene Siskel, nemico/amico di ineguagliabili sketch nazional-popolari ad argomento cinematografico e la sua vasta cultura gli consentì di scrivere recensioni appannaggio di tutti, appassionati o semplici profani, grazie al loro stile schietto e autentico, la cui scrittura tersa allontana ogni intellettualismo o velleità filosofica. Nel documentario si passa da momenti di grande partecipazione emotiva (il rapporto con la moglie Chaz, la lunga malattia, le amicizie con Scorsese, salvato dal circolo della droga, e con Ramin Bahrani) a situazioni che descrivono il suo totale bisogno di socialità, quasi come il dispositivo cinematografico che tanto amò e i cui prodotti (le storie del grande schermo) furono da lui definite: “macchine che generano empatia”. Senza slittamenti verso facili retoriche, le inquadrature e i primi piani entrano nella sfera emotiva e sociale di Roger Ebert in modo autentico e mai invadente, privi dell’enfasi della tradizionale opera biografica di taglio solenne. Ebert in Life Itself è descritto come un “everyman”, felice dì immergersi nel buio “ontologico” della sala e ancora più contento di poter parlare dei suoi film al mondo che lo osanna e che da lui riceve incondizionato amore. 

Vincenzo Palermo

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