Francofonia: trailer del film, recensione e trama

Francofonia (Le Louvre sous l’Occupation) è, diciamolo subito, l’ennesimo capolavoro di Aleksandr Sokurov; si tratta di un’opera omnia di assoluta urgenza culturale che attraversa il periodo oscuro della Francia occupata dai nazisti. Finito il tempo dei suoi detrattori a tutti i costi il cui grido, “dagli al formalista”, si concretizzava in una messa all’indice della censura, nonostante non sia del tutto finita la querelle tra chi incensa il cineasta e chi lo detronizza dal piedistallo della cinematografia russa, il problema rimane più legato alla ricerca di un nuovo status artistico dopo la fine della tetralogia del potere con lo splendido Faust. Le premesse sembrano avvicinare Francofonia ad Arca russa, esperimento ardito di un unico piano-sequenza di 96 minuti e in soggettiva tra i corridoi immensi dell’Hermitage, ma, scorrendo le immagini del suo nuovo (capo)lavoro ci si rende subito conto che, il mash-up, i cambi di formato, le variazioni linguistiche e l’intercambiabilità dei segni sono il pre-testo su cui Sokurov edifica la sua cattedrale nell’arido deserto del fuhrer e tali accorgimenti creano una distanza abissale dalla compattezza visiva e stilistica di Arca russa. In questa nuova co-produzione franco-tedesca-olandese, trasferitosi all’interno del Louvre ai tempi dell’occupazione tedesca, affronta l’onnipotenza del (vano) potere dell’uomo contro l’eternità pneumatica dell’arte. Il film è fatto di parole e immagini ibridate come in un film dell’ultimo Godard, mescolate a suoni e rumori in sottofondo che invitano lo spettatore a districarsi tra i pezzi di un visionario découpage. Il regista russo compone un’ode alla quintessenza dell’arte sfruttando un “adieu au langage” che confonde ambienti di scena e contesti di girato, sequenze di repertorio e siparietti surreali, quasi camp, all’interno del Louvre, avvicinando l’antichità gloriosa della Nike di Samotracia alle storture della guerra mondiale.

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La dissonanza come studio del mondo, il pastiche eletto a visione euristica del sublime. Sono pochi gli intellettuali cinefili a sapere osare tanto e Sokurov è uno di questi. Se la celebrazione dell’Hermitage ambiva a ricostruire e in un certo qual modo a ricompattare tre secoli della storia zarista, i fantasmi, prima dei grandi poeti russi – Čechov e Tolstoj – poi le allucinazioni sinestetiche vaganti per le sale del Louvre – Napoleone e Marianne – guardano la Storia con distacco e solo a loro è dato contemplare i tesori custoditi nel dorato scrigno. Ma il loro è uno sguardo fuggevole, come lo sgusciare leggero di Marianne nelle sale vuote, un vagare impalpabile di spettri tra i rigurgiti di una storia (fin troppo) conosciuta. E intorno risuonano le tre parole (o utopie) – liberté, égalité, fraternité – che ci ricordano che, forse, siamo solo in un sogno rivoluzionario, una rêverie persa in un tempo senza tempo, in cui presente e passato, realtà e fantasticheria si rincorrono senza congiungersi mai. L’Europa di Sokurov, da cui il sottotitolo Un’elegia per l’Europa, è uno spazio-tempo che pulsa attraverso frammenti, che si stratifica e si sgretola non solo dinanzi alla macchina da presa, quanto nell’amara realtà della separazione di culture prossime che eleggono le distanze quale tratto differenziato del loro esistere. L’opera d’arte è muta, i protagonisti del film si trasformano in sofisti della domenica mentre “giocano” con le parole quotidiane, attraverso il pulsare inconsulto delle epoche e degli uomini. Ma la guerra è sempre dietro l’angolo e Sokurov non può fare a meno di riconnettervi la storia della sua Russia e del bolscevismo. La digressione iniziale sul ritratto di persona come elemento fondante della cultura occidentale non può che apparire grottesca in un presente spersonalizzante in cui la moltiplicazione di volti anonimi cancella l’individuo inghiottito dai flutti o smarrito sulla terra ferma. Non c’è differenza tra migranti e occupanti, tra terra e mare.

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Francofonia, in fin dei conti ci insegna un “requiescat” che è solo per la monumentalità dell’arte, il cui respiro, tra saccheggi, soprusi e smobilitazioni, rimane immortale, mentre l’uomo, chissà per quanto ancora continuerà a calpestare quelle sale, ad attraversare i corridoi del tempo e dei musei, con lo sguardo fiero e la parola vuota di chi dovrà sempre e comunque decidere. Perché in fin dei conti la Nike non vincerà mai. Il Louvre si trasforma in non-luogo in cui la coscienza collettiva si sedimenta e insieme si atrofizza, come subissata dalle “acque pensanti” dell’oceano di Solaris, il capolavoro di Tarkovskij, maestro del grande Aleksandr Sokurov. Ed ecco la trama: Nel 1940, mentre la Francia è occupata dal nemico nazista, si decidono le sorti dei tesori custoditi all’interno del Louvre. L’incontro tra il direttore del museo Jacques Jaujard e il conte tedesco Franziskus Wolff-Metternich dovrà decretare quale parte del patrimonio artistico dovrà essere trasferito in Germania. Intanto, le sale vuote del Louvre sono percorse da Marianne, simbolo della Francia e dall’assolutista Napoleone.
Di seguito il trailer del film.

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