To Rome with love, Woody Allen – Recensione

Una commedia divertente ma non troppo, melodica ma non troppo, in alcuni punti lenta. Ma non tanto da far sbadigliare lo spettatore più assonnato. Con “To Rome with love” – dopo Midnight in Paris e Vicky Cristina e Barcelona – Woody Allen ritorna in Europa, questa volta nella città eterna. I personaggi sono senza tempo, come molti dei loro abiti. Le tematiche affrontate mettono in evidenza le incongruenze italiche, dal giornalismo spazzatura alle escort, assidue frequentazioni di uomini illustri del mondo dell’imprenditoria e della politica. Onnipresente l’amore che, di fronte anche alla più flebile possibilità di successo e notorietà, viene subito meno; basti pensare a Monica, attrice in erba, con la fama di seduttrice, che riesce a conquistare Jack ma non il suo alterego John, un architetto americano. Degni di attenzione il regista d’opera in pensione, interpretato dallo stesso Allen, e Leopoldo Pisanello (Roberto Benigni) che diventa famoso senza un perché per poi finire nel dimenticatoio senza un altrettanto perché.  Roberto Benigni dà verve a questo personaggio con la sua comicità e la sua immancabile pronuncia toscana, anche se appare un po’ troppo ingabbiato in questo ruolo. Insomma “To Rome with love” è una commedia da vedere se non altro perché è ambientata in Italia, nella capitale. Roma è troppo turistica, troppo addolcita; ed è priva del suo tran tran quotidiano che, nonostante le molte criticità, la rende comunque viva!

22 aprile 2012 ore 16.20

Commenti

commenti

4 commenti su “To Rome with love, Woody Allen – Recensione”

  1. Da quello che scrivi, non mi sembra un'opera riuscitissima. Tuttavia a me piaccciono molto le atmosfere dei films di Allen, inoltre Benigni, per me, è una garanzia quindi lo vedrò sicuramente con piacere.
    Grazie Maria, un caro saluto

  2. Mi considero un Alleniano. Adoro Woody Allen e il suo cinema.
    Mi sono ritrovato ad amare alcuni suoi film non amati dalla critica, perciò forse non farò molto testo qua.
    Il film, come detto e ripetuto, è un sincero omaggio all’Italia e alla Roma di Fellini che Woody ha a cuore da sempre.
    Il cast l’ho trovato davvero ottimo, sia quello Americano che nostrano. Gli episodi forse non eccessivamente profondi ma piacevoli. A mio giudizio spiccano le recitazioni di Allen, Page, Eisenberg, Baldwin e, per il poco che si è potuto vedere, Albanese.
    Benigni divertente e istrionico, cattura l’attenzione ma è lontano anni luce da Loris de “Il Mostro” e ancora più da Saverio di “Non ci resta che piangere”. Del resto gli anni passano. Cruz molto brava a recitare in Italiano, e l’accento spagnolo non stonava nel complesso. Ho apprezzato anche Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi, tuttavia ascoltandoli nessuno in Italia potrebbe mai bersi che siano entrambi davvero di Pordenone.
    Detto questo, trovare alcuni clichè che danno un’immagine chiara di come l’America, (e di conseguenza il resto del mondo occidentale) vede ancora oggi noi italiani, è stato semplicemente triste.
    Uno fra tutti; la casalinga moglie del “tenore sotto la doccia” che impugna minacciosamente il coltello da cucina ha letteralmente accoltellato me. E quella traccia musicale in sottofondo in buona parte del film, quasi calco delle musichette comiche di Fred Bongusto nei film di Fantozzi primi anni ‘80, così assurda e lontana dal Jazz dixieland di cui Allen è noto amante (e performer), elemento classico delle sue opere.
    Viene totalmente a mancare il senso di “cerchio che si chiude”, con l’inizio del film presentato e per un breve tratto narrato fuori campo dal vigile romano, conoscitore delle mille storie di Roma, e il finale con il saluto dello stereotipatissimo uomo in canottiera e baffi che apre la finestra alla suggestiva ma non cinematograficamente azzeccata inquadratura di piazza di Spagna di sera.
    Insomma, se posso inventarmi una metafora: la casetta è fredda d’inverno e calda d’estate, ma in primavera e autunno si sta benissimo.

Lascia un commento

Torna in alto