Roma, a teatro Ogni volta che guardi il mare: recensione

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©Marco Borrelli

Il viaggio a ritroso di una giovane donna nella terra che l’ha generata ma anche respinta, condannata all’esilio. Terra in cui lei non si riconosce, se non in quei profumi e in quei colori che restano dentro come un marchio di fabbrica, come un richiamo ancestrale. “Ogni volta che guardi il mare”, allestito a Roma al Teatro Lo Spazio, è il grido rabbioso di tutte coloro che si sono ribellate al sistema mafioso, che hanno osato proteggere i propri figli dalla percezione di “normalità” di quel sistema. Il monologo scritto dalla giornalista Mirella Taranto e interpretato da una straordinaria Federica Carruba Toscano, è il mirabile ritratto di due donne: la prima rivive nel ricordo della figlia, ormai adulta, tornata per un momento nella vecchia casa in Calabria in ascolto della sua coscienza, che riaffiora dolorosa. Ispirata alla storia di Lea Garofalo, uccisa dalla ‘ndrangheta per mano del suo compagno nel 2009, all’età di 35 anni, colpevole di essersi sempre rifiutata di portare la figlia a visitare il padre in carcere, di essersi opposta al “così si fa, così si deve” delle famiglie, la pièce diretta e adattata da Paolo Triestino è una pennellata realistica, poetica ma lontana da ogni retorica. Non giudica ma racconta ed è un racconto ricco di parole, di tenerezze, di paure, di donne il cui unico lusso è la nostalgia. Una vita in fuga, dall’età di cinque anni.

In “Ogni volta che guardi il mare”, Sara (Denise il vero nome della figlia di Lea Garofalo), come tante donne, usa “gli angoli del cuore” per continuare a vivere, quegli angoli che sopravvivono alle brutture del mondo. Si inebria dei colori e dei profumi della sua terra, di quella Calabria “che seppellisce la sua bellezza insieme ai suoi morti”. L’odore pungente dell’origano che ubriaca i sensi, come quello della torta alle arance che prepara e cuoce davvero, lì sul palco, mentre racconta rivolgendosi al ricordo della madre, presente al suo fianco come fosse viva. Una straordinaria prova d’attrice, quella di Federica Carruba Toscano, difficile per il testo, ricchissimo di parole (in alcuni tratti anche troppe), e per i tanti movimenti in scena.

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©Marco Borrelli

Uno spettacolo di grande intensità, profondo, poetico ma mai melenso, duro e senza fronzoli. Concreto come le due donne tratteggiate sul palcoscenico, che “partono sempre, ma sempre ritornano”, che non vanno mai via, proprio come il profumo dell’origano calabrese. L’interpretazione di questa giovane attrice è come quel blu profondo del mare di cui parla il suo personaggio, come il calore accogliente di una casa con una torta in forno. Commuove e riscalda il cuore, pur narrando vite immerse nel dramma. Recitazione potente e solida, che scuote, un po’ come fanno quelle donne descritte nei romanzi di Gabriel Garcia Marquez. Donne del Sud. Nel finale de “Ogni volta che guardi il mare”, proprio nelle ultime battute, si svela il motivo di quel dolce in forno sul palco, grazie alle parole di Lea Garofalo scritte nella lettera che Sara stringeva in mano all’inizio, declamate dalla voce fuori scena di Ida Scofano. Giustizia è stata fatta, anche se quelle come Sara dovranno sempre vivere altrove, lontane da quei profumi e da quei colori custoditi nel cuore. Anzi, negli angoli del cuore. Un monologo da vedere, senza dubbio. La rappresentazione è in scena a Roma, presso il Teatro Lo Spazio, fino al 21 febbraio 2016.

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