Radici, la serie tv su Sky: recensione della prima puntata

Un senso di pietas e di tristezza accompagna lo spettatore mentre guarda la prima puntata di Radici, la serie tv in onda su Sky. Le domande sono tante man mano che la storia prende forma tra una sofferenza acuta che non ha fine. Eppure i nostri quesiti non possono avere una risposta, perché significherebbe addentrarci nei cunicoli oscuri di un’umanità che non ha alcun rispetto non solo per le altre specie, ma anche per i suoi stessi simili, rei soltanto di avere un colore diverso della pelle. Ed è questo il termine da cui si origina tutto: diversità! Radici è la Storia d’America che si fa fiction, è il lato oscuro di una Nazione costruita col sangue degli afro-americani. La prima puntata si concentra su un tema caro agli africani: il nome. Abiurare il nome – dato dai padri – equivale a rinnegare la propria essenza, perché l’uomo è un po’ come un albero: trae nutrimento dalle radici per espandersi verso l’alto. Togliendogli il contatto con la base gli si toglie anche la forza, un po’ come accade nella Bibbia a Sansone con i capelli, ed è quello che fecero i bianchi ai neri.

radici-serie-tv-sky-prima-puntata-recensione

Siamo nel Gambia del 1700, in un villaggio Mandinka, dove nasce Kunta dalla famiglia Kinte, un gruppo di ultimi guerrieri difensori del Re che vivono in un ambiente in cui purtroppo si sta diffondendo il traffico degli schiavi. Kunta (Malachi Kirby) cresce e, subito dopo il rito che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta, è rapito e portato su una nave diretta in America, dove è venduto come schiavo perdendo se stesso, poco alla volta, insieme alla propria libertà. Il guerriero che è in lui pone resistenza inutilmente, con l’aiuto del violinista, uno schiavo che si è rassegnato a soddisfare i capricci della moglie del ‘padrone’ e che è interpretato da Forest Whitaker. L’attore con questo ruolo rievoca un altro suo personaggio, il maggiordomo della Casa Bianca di The Butler (2013). Ma ciò che mette i brividi è la tenacia con cui Kunda difende l’identità da chi cerca di estirpargliela privandolo del nome. In alcuni gruppi religiosi cattolico-cristiani si usava cambiare nome quando si voleva rinascere a vita nuova. Questa formula è descritta nel Vangelo, però (naturalmente) in un’ottica diversa. Si tratta, infatti, di una scelta consapevole e non imposta, una sorta di rituale che simboleggia l’evoluzione dello Spirito tanto cara, poi, ai filosofi idealisti tra il 1700 e il 1800.

Per gli africani il nome, scelto in genere dal padre, aveva molta importanza, giacché quella parola era ispirata dagli avi e questi ultimi rappresentavano il viatico tra ciò che si era e ciò che si diventerà. Kunta, difatti, ha tanti sogni: vorrebbe trasferirsi in città e studiare mantenendo tuttavia il contatto con le radici. Pure nella cultura della Grecia classica, gli antenati erano fondamentali per il processo di crescita. Ulisse, per tornare a casa, dovrà compiere un percorso ad ostacoli mentre la sua anima è sempre rivolta a Itaca, alle radici. Il primo episodio della fiction di Sky ha in sé alcuni codici impliciti che toccano il cuore, ammorbidendolo. Con uno stile contemporaneo e avvincente, la serie tv narra una storia incredibilmente toccante, che fa salire la rabbia. La serie si basa sul romanzo di Alex Aley, da cui è stata tratta la fiction del 1977. Radici è, quindi, il remake di un prodotto televisivo che all’epoca riscosse molto successo e che ancora oggi fa venire la pelle d’oca.

Commenti

commenti

Lascia un commento

Torna in alto