LONDRA 2012: OLIMPIADI VIETATE AI MARCHI CONCORRENTI DEGLI SPONSOR

Da anni ormai lo sport non è più sana competizione ma businesses, non una gara tra atleti ma una guerra tra sponsor. Le Olimpiadi di Londra 2012 hanno portato questo concetto alle estreme conseguenze, tra l’incredulità e l’indignazione del pubblico e l’imbarazzo degli organizzatori che, non senza una punta di vergogna, hanno confermato ciò che si vociferava da tempo: a nessuno sarà consentito entrare nel Parco olimpico con abbigliamento e gadgets di marca diversa da quelle che sponsorizzano i Giochi. Una norma all’apparenza assurda ma confermata da Lord Sebastian Coe, che oltre ad avere vinto due ori olimpici a Mosca e Los Angeles è anche l’ organizzatore dei Giochi di Londra.

Vietato esibire, quindi, un logo diverso da quello delle undici multinazionali che finanziano ufficialmente lo spettacolo. Nei siti sportivi è già stato sequestrato un gran numero di oggetti di marchi diversi da quelli che sostengono le Olimpiadi. La Coca Cola ha investito milioni di pounds e guai a farsi vedere in giro con una maglietta della Pepsi, pena l’espulsione per indegnità dal Parco olimpico, dove vige una severa dittatura imposta dagli sponsor che pone seri dubbi sulla compatibilità con le libertà individuali, non solo degli spettatori che giungeranno da ogni parte del mondo per assistere alle gare, ma anche degli stessi atleti, che hanno la facoltà di siglare accordi di sponsorizzazione anche con marchi diversi. Un gruppo di sportivi statunitensi capeggiato dall’ex lanciatore del peso Adam Nelson si è già ribellato, scatenando la protesta su Twitter. La Federazione, infatti, impone loro di salire sul podio con la divisa ufficiale della Nike, scarpe comprese – pena una multa salatissima – anche se avranno vinto le medaglie con materiale tecnico diverso. In segno di protesta, gli atleti hanno postato sul social network le foto dei loro piedi nudi e pensano di presentarsi scalzi anche sul podio per manifestare in favore del brand libero.

Un altro esempio: all’interno del parco che ospita lo stadio dell’atletica è possibile ritirare denaro dai distributori solo se si è in possesso di una carta Visa. Il parco Olimpico è dominato dal più grande McDonald’s del mondo: 3000 metri quadrati, 1500 posti a sedere e 14 mila pasti al giorno, un grandioso tempio del grasso che mal si concilia con lo slogan dei Giochi: «rispetto, eccellenza, amicizia, attenzione alla salute e all’ambiente». Ma poco importa, basta che paghino.

E basta che paghi anche la Dow Chemicals, l’azienda che ha rilevato la Union Carbide Corporation (Ucc), per fasciare lo stadio olimpico. Per questo privilegio la società ha sborsato ben 7 milioni di sterline e poco importa che la Ucc sia l’industria responsabile del massacro indiano di Bhopal. Una perdita di veleni chimici che nel 1984 causò la morte di 25 mila persone. Ancora oggi, mezzo milione di uomini e donne stanno pagando le conseguenze di quel disastro. Inutili le proteste di Amnesty. Tutto si giustifica con il denaro.

Piera Vincenti

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