Arrivano i Grammophone con l’energia di “Multiverso”

copertina - fronte (2)I Grammophone vengono da Eboli e, attraverso un vortice fatto di elementi commissionati tra loro, hanno dato vita a “Multiverso”: un lavoro discografico  ricchissimo di spunti che non passerà assolutamente inosservato. Le dieci tracce che compongono l’album  sanno di vita vissuta: rabbia, emozione, disperazione, poesia, istinto, voglia di fuga sono solo alcuni dei sentimenti più vicini all’uomo contemporaneo che, nel suo essere miserabile, corre verso un futuro già segnato.

Nicola Bonelli (Drum Kit), Felice Calenda (Bass/Lead Vocal), Antonio Concilio (El Gtr), Gianni Anzillotta (El Gtr) e Cristian Peduto (Piano/Synth and Electron Ics Samples) tratteggiano la linea della loro personalissima estetica musicale seguendo un binario tutto loro, frutto della convergenza dei singoli percorsi di ciascuno. Realtà ed immaginazione trovano una via di fuga in un ritratto surrealista che non può essere limitato da un’unica definizione. Un linguaggio originale, accompagnato da un cantato insolito e coinvolgente, carica i testi di forte tensione emotiva. Lo sperimentalismo sonoro è sicuramente la marcia in più di questo gruppo che riesce a dare spazio ad un prisma di sonorità piuttosto ampio.

Grammophone
Grammophone

Privi di alcun punto di riferimento, i Grammophone sono naufraghi della vita e le loro canzoni sono pezzi di legno di una zattera che li traghetterà dritti dritti verso il cuore di chi li ascolta. La nevrosi strumentale introduttiva di “Oltrenatura” lascia il tempo di uscire dal tepore di “Segreto” in cui un colpo di cinghia ci spinge “Nell’incanto” dettato dal suono degli alberi. “Multipli di ossa erose si sfiorano in cattività” mentre ci si veste di nebbia in “Botola”. Le sonorità elettriche e ruvide si lasciano poi traghettare aldilà delle Alpi con “Parigi” , brano in cui l’angoscia dell’abbandono pare trovare rifugio. La pace si rivela, però, effimera: “Treno in Cmin” scandisce il ritmo di una fuga senza meta, lontano dal dolore e dalla distruzione. “Hai smesso di crescere ma il male no” cantano i Grammophone in “Gli orchi” e in un mondo che non fa sconti tocca cercare comunque qualcosa in cui credere magari nella “voglia di piangere, di stringersi e di urlare” che è la prassi vitale di “Madame”. Nel ventre della paresi sociale, il male che abbiamo in comune, “Il pianto di Matilda” è il testamento della nostre ansie più recondite. La poesia metropolitana dei Grammophone tocca l’apice nelle note di “Multiverso”: un crogiuolo di suoni affamati di vite morde il disordine contemporaneo facendone la sua più grande ricchezza.

 Raffaella Sbrescia

 

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