A Venezia Ettore Scola, Fellini e l’Italia di ieri

Ettore Scola © la Biennale di Venezia - Foto ASAC
Ettore Scola © la Biennale di Venezia – Foto ASAC

Commuoversi è ormai fuori moda ma, a volte, farlo è talmente spontaneo da ritenersi necessario. Commuoversi è naturale, soprattutto di fronte alle cose che si rivelano capaci di smuovere ancora i ventricoli del nostro cuore. Questo è in genere quello che dovrebbe riuscire a fare il cinema, questo è quello che è riuscito a fare il maestro Ettore Scola con il suo docufilm “Che strano chiamarsi Federico! Scola racconta Fellini”, presentato oggi in conferenza stampa alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Come sottolineato da Sergio Rubini, tra gli interpreti del film, il fatto che un grande cineasta italiano abbia dedicato una sua opera cinematografica ad un suo collega è già, di per sé, un fatto che desta commozione, perché, in un paese come l’Italia, il “fratricidio” è ormai tristemente diventato un fatto ordinario. E allora, in una nazione in cui la memoria appare sempre più labile, è giusto fermarsi e commuoversi mentre si sfoglia l’album dei ricordi in cui le fotografie delle opere di Fellini sono solo un modo per capire noi stessi e la nostra storia. Primo regista italiano ad aggiudicarsi il prestigioso premio Jaeger- LeCoultre Glory to the Filmmaker 2013, Ettore Scola presenterà, in anteprima mondiale e alla presenza del presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, un film che rappresenta non solo il ritratto di un amico fraterno ma anche un fedele affresco della cultura italiana. Memore del fatto che ai suoi tempi i giovani avevano davvero pochi mezzi per scegliere la propria vita, il maestro ha lucidamente sottolineato, infine, che negli anni si è sicuramente perso molto ma si è guadagnato altrettanto parecchio e che i giovani hanno, davanti a loro, un vastissimo ventaglio di scelte e di opportunità che prima ci si poteva soltanto sognare.

Non solo Italia nella giornata veneziana di oggi: “La prima neve” di Andrea Segre, sezione Orizzonti, è un film che serve  ad interiorizzare i dolori e le problematiche di personaggi particolarissimi mentre  il documentario  di Anna Eborn “Pine Ridge” sarà, invece,  l’occasione per rendere giustizia alla forte identità dei nativi americani del South Dakota, ancora troppo spesso vittima di soprusi culturali.

Una scena tratta dal film "Es- Stouh - Les Terrasses" © la Biennale di Venezia - Foto ASAC
Una scena tratta dal film “Es- Stouh – Les Terrasses” © la Biennale di Venezia – Foto ASAC

In un processo di contaminazione tra recitazione e realtà “Es – Stouh Les Terrasses” , in concorso per Venezia 70, di Merzak Allouache rappresenta, infine, un toccante spaccato di una società, quella algerina, che ancora oggi paga il pesante scotto di un decennio caratterizzato da angherie e violenze di ogni tipo. Il retaggio di questi anni al limite della sopportazione è ancora tangibile, forte, destabilizzante al punto che si ha come  l’impressione  che nessuno abbia davvero la forza di poter ricominciare tutto daccapo. Forse, a questo punto, c’è da chiedersi se sia davvero possibile dimenticare il dolore e ricominciare a vivere.

 Raffaella Sbrescia

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