“Venezia si difende 1915-1918”, Franzini: una mostra per non dimenticare

Venezia, la città lagunare per antonomasia, in grado di attrarre turisti da ogni parte del mondo con il suo fascino storico-artistico connesso alle incantevoli peculiarità urbanistiche che la contraddistinguono, dal prossimo 13 settembre offrirà al visitatore uno spaccato della sua storia non sempre né a tutti noto. La Casa dei tre Oci, un bell’esempio di architettura veneziana di inizio ‘900 sull’isola della Giudecca, ospiterà, infatti, la mostra Venezia si difende 1915-1918, a cura di Claudio Franzini, fotografo professionista, specializzato nella riproduzione di opere d’arte, nonché catalogatore e archivista dei fondi fotografici depositati presso il Museo Fortuny della città. Nella seguente intervista Franzini ci racconta la genesi e l’evoluzione dell’inusuale percorso espositivo, che fino all’8 dicembre affiderà alla fotografia il compito di narrare la Serenissima e i suoi metodi difensivi durante il primo conflitto mondiale.

Venezia si difende mostra
©treoci

Come nasce questa mostra?

Il nucleo centrale dell’idea di questa esposizione è innanzitutto il “dovere della memoria”. Direi un atto “dovuto” a chi dedicò le proprie forze, le proprie energie, i propri ideali e anche, in alcuni casi, la vita stessa alla difesa di Venezia minacciata per oltre tre anni dagli eventi bellici. Ma altrettanto importante credo sia “raccontare” visivamente, forse per la prima volta in maniera estesa attraverso dei documenti fotografici, l’insolita situazione venutasi a creare: lo straniamento dell’assetto monumentale e urbanistico della città causato dalle costruzioni di difesa a protezione degli attacchi aerei; i palloni frenanti contro le incursioni; la vita cittadina militarizzata, tra rifugi, oscuramento e altane presidiate dai fucilieri della Marina; gli effetti e le distruzioni, provocati dai bombardamenti. Credo inoltre che questa esposizione al di là delle ricorrenze storiche possa mettere l’accento, e di conseguenza farci riflettere, sul pericolo più generale causato dalla perdita dei nostri patrimoni artistici, e intendo nostri nel senso più universale, come è accaduto negli ultimi vent’anni in diversi scenari geopolitici, o come sta accadendo in questi giorni in Medio Oriente. Pericolo corso, e che questa esposizione vuole ribadire, anchedalla nostra città.

 

La fotografia, e non solo, ci consegna frammenti di una Venezia impegnata a difendersi, a difendere i suoi monumenti e a sanare i danni prodotti da incursioni e bombardamenti, che più volte colpirono una città, il cui fascino senza tempo non lascia trasparire ferite ormai lontane, ma pur sempre vive nella memoria collettiva. Da dove proviene tutto il materiale documentario, che animerà la mostra?

Tutti i materiali fotografici, assieme a un nucleo di cartoline postali, provengono dall’Archivio Fotografico Storico della Fondazione dei Musei Civici di Venezia. Depositato attualmente presso il Museo Fortuny, che è una delle molte sedi museali che fanno capo alla Fondazione, nel corso dei decenni attraverso donazioni e acquisti si è sedimentato inizialmente presso il Museo Correr un imponente corpus di immagini fotografiche, negative e positive, nonché un consistente numero di stampe tipografiche, soprattutto cartoline postali. La scelta di trasferire parte consistente, quasi la totalità, del patrimonio fotografico storico dalla sede marciana ad altra sede fu dettata sostanzialmente da tre ordini di considerazione: le prioritarie esigenze di carattere conservativo, che imponevano una collocazione diversa da quella offerta al momento; in seconda istanza, dalla possibilità di concretizzare un intervento di riordino e di riorganizzazione dei diversi fondi che costituivano l’intero archivio d’immagini; terzo, logica conseguenza delle due azioni precedenti, la valorizzazione del patrimonio stesso. Quindi quanto possiamo vedere ora è una prima circoscritta selezione di quanto conservato in Archivio, fruibile finalmente da un pubblico più vasto, non solo dagli specialisti della materia fotografica o storica.

Qual è il criterio adottato nell’organizzazione dell’itinerario espositivo? In che modo è avvenuta la selezione della documentazione?

E’ un racconto per immagini. Una piccola sfida per certi versi perché sono ben cosciente che tali avvenimenti sono difficilmente esprimibili attraverso l’esclusivo utilizzo di fotografie. Il percorso espositivo si articola virtualmente in tre sezioni: la difesa del patrimonio e dei beni artistici, la vita cittadina, le cerimonie e le celebrazioni, e si snoda cronologicamente sin dai primi interventi attuati. Pertanto la selezione è avvenuta di conseguenza, in maniera oserei dire semplice. La difficoltà che si celava era di non risultare ridondanti ed enfatici visti i materiali documentari a disposizione, quasi ottocento fotografie e circa duecento cartoline postali.

 

Questa importante iniziativa, che ci porta indietro di cento anni, è corredata dalla realizzazione di un catalogo, da Lei stesso curato. Potrebbe anticiparci quali sono i pezzi di punta del corpus illustrativo, che si avrà il piacere di vedere in esposizione nelle sale della Casa dei Tre Oci, dal 13 settembre all’8 dicembre?

Certamente è un’esposizione che va ammirata nella sua complessità, ma emergono inevitabilmente alcune fotografie particolarmente significative. La rimozione dei cavalli marciani dalla Basilica, la faticosa opera di insaccamento a protezione della Loggetta del Campanile, la facciata della Basilica stessa, protetta da un’imponente armatura. Le sale di Palazzo Ducale e delle Gallerie dell’Accademia spoglie dei capolavori. Le difficoltà della vita quotidiana: l’oscuramento, i rifugi, gli ospedali, la rimozione delle macerie, il ritiro dei depositi bancari dopo Caporetto. Una sezione molto importante è dedicata agli effetti degli attacchi aerei subiti. Saranno quarantadue le incursioni che scaricheranno sulla città un totale di 1029 bombe (300 solo durante quella della notte tra il 26 e il 27 febbraio 1918), con il risultato di provocare ingenti danni materiali, ma soprattutto 52 vittime e 84 feriti tra la popolazione. In questa sezione di grande impatto emotivo è certamente la documentazione relativa a uno dei capolavori irrimediabilmente perduti che provocò una fortissima reazione internazionale: l’affresco della volta della chiesa degli Scalzi opera di Giambattista Tiepolo, distrutto nel tentativo di colpire la vicina stazione ferroviaria. Due fotografie molto importanti sono sicuramente quelle dei resti della corazzata Wien affondatanel porto di Trieste, donate nel 1925 dal tenente divascello Luigi Rizzo alla Città di Venezia, comandante i Mas che attuarono l’azione ricordata come tra le più sensazionali compiute dalla Marina Italiana. Meritano una citazione particolare le immagini della posa della prima pietra del Tempio Votivo del Lido di Venezia, sacrario dedicato alle vittime militari. Infine alcune cartoline postali, opere del veneziano Guido Cadorin e del triestino Guido Marussig con due serie dedicate a Venezia, realizzate proprio durante il periodo di guerra, e un nucleo di filastrocche e poesie dialettali, intenzionalmente satiriche ironiche nel tentativo forse di esorcizzare in parte il dramma bellico.

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©treoci

Si è deciso di raccontare l’esperienza veneziana attraverso la fotografia. Perché si è scelta proprio la fotografia come strumento peculiare per il racconto di Venezia alle prese con la Prima Guerra Mondiale?

Le ragioni si possono trovare in quanto esposto poco sopra. Molti testi hanno descritto l’insolita situazione e l’angosciante drammatica evoluzione degli eventi accaduti in città all’epoca della Grande Guerra. Molti di questi furono stesi quando il conflitto era ancora in corso, e la fine era ancora lontana. Anche da alcuni protagonisti direttamente coinvolti nell’azione di difesa, basti pensare a Ugo Ojetti, il giornalista e letterato all’epoca tenente del Genio, a cui fu affidato l’incarico dal Comando Supremo di coordinare le operazioni. Molti di questi volumi sono corredati da immagini anche se, per ovvi motivi storici, intrisi di una certa retorica bellicista e propagandista. Le nostre volontà non sono certamente queste. L’intento è di mettere in relazione tutte le fonti della memoria, e per quanto ci riguarda inserire ovviamente in questo contesto le immagini fotografiche in quanto conoscenza del passato, in quanto supporti della memoria collettiva, ma depurati dalla retorica cui accennavo poco sopra.

Quanto tempo è stato necessario, perché questo progetto diventasse una realtà concreta?

La prima idea dell’esposizione è nata nel 2013, poco tempo dopo l’accordo stipulato tra la Fondazione Venezia e la Fondazione Musei Civici, per volontà dei due direttori, rispettivamente Fabio Achilli e Gabriella Belli, che hanno fortemente creduto nel progetto comune di programmazione di attività rivolte alla tutela e valorizzazione della Fotografia.

Fondamentali inoltre per la sua concretizzazione sono stati gli incontri con Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, l’apporto di Civita Tre Venezie e della casa editrice Marsilio per nome di Emanuela Bassetti che mi sia permesso ringraziare personalmente. Così come il mio ringraziamento va agli autori dei due saggi che appaiono nel catalogo che accompagna la mostra, Cesare De Michelis e Camillo Tonini, ed a Elisa Lusa che si è prodigata nella schedatura delle immagini.

La ringrazio di nuovo, anche a nome della redazione di Cultura & Culture, per la gentile elargizione delle informazioni sull’evento, con l’auspicio che numerosi i visitatori si lascino trasportare dall’ affascinante itinerario, che a breve sarà inaugurato.

                                                                                                                            Amanda Bianchi

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