Shosha: nel libro di Singer una Varsavia che non c’è più

Sosha SingerUn quartiere animato e rumoroso, dove la vita scorre tra panni stesi sui balconi, bagni rituali in cui di sera vanno «a immergersi le matrone», yeshivah in cui imparare i testi della tradizione ebraica e un grande bazar, la Corte di Yanash, dove poter acquistare di tutto, dalla frutta ai latticini, dalle oche al pesce. E poi la piazza principale, «sempre affollata di prostitute, ruffiani e ladruncoli», e il cortile che sembra un mercato improvvisato, con gli ambulanti che vendono «aringhe affumicate, mirtilli, angurie». Un luogo vivo, fatto di misticismo e insieme di malaffare, dove le case di preghiera si alternano a covi in cui i ladri giocano a carte e a domino. È il quartiere che si estende intorno a via Krochmalna, a Varsavia, ed è lo scenario in cui si muovono i protagonisti di Shosha, romanzo pubblicato sul finire degli anni Settanta da quello scrittore polacco naturalizzato statunitense che proprio lì, in quella via, è cresciuto: il premio Nobel per la Letteratura Isaac Bashevis Singer.

In occasione dell’imminente 27 di gennaio, giorno in cui il Mondo ricorda l’Olocausto, un Premio Nobel come Singer ci può condurre tra i vicoli, le credenze, i timori di una comunità che la Storia ha cancellato. Profumi, rumori, abitudini raccontate ottimamente dalla penna dello scrittore che per tutta la vita, anche dalla nuova Patria americana, ha scelto di scrivere in yiddish, la lingua del popolo semplice.

Shosha, quindi. Un romanzo che è un viaggio lungo circa trent’anni: in una Varsavia dapprima russa, poi polacca e, infine, drammaticamente in attesa che si compia il suo destino e che venga occupata dai nazisti, ecco scorrere la Storia della prima metà del Novecento. Il protagonista, Aaron Griedinger, è nelle prime pagine del libro un bambino: nato e cresciuto proprio in via Krochmalna e figlio di un rabbino chassidico, a suo dire è stato educato «sulla base di tre lingue morte – l’ebraico, l’aramaico e lo yiddish – e di una cultura che si sviluppò a Babilonia: il Talmùd». Nella ruotine della sua adolescenza di buon ebreo una coetanea, anche lei del quartiere ma con difficoltà nello studio e nell’apprendimento. È Shosha, colei a cui l’intero romanzo è dedicato: compagna di giochi di un giovanissimo Arele, così lo chiama lei, viene emarginata e derisa dagli altri bambini del cortile. Questo fino a quando la Storia, come accennato, inizia a irrompere nelle vite di tutti: è lo scoppio della prima guerra mondiale, con la fame e le difficoltà che ne conseguono. È l’addio della famiglia di Griedinger, che per motivi economici è costretta a lasciare il quartiere.

Ma il Novecento scorre inarrestabile e la Varsavia che Singer offre ai nostri occhi diviene città di scrittori, presunti intellettuali, a volte perdigiorno: un mondo in cui un produttore americano finanzia un dramma in yiddish solo per permettere alla sua giovane e ambiziosa compagna di avere un ruolo da protagonista. Scritturato come autore, Griedinger vive tra alti e bassi in una Varsavia che, come le altre grandi città, si fa bella e di mondo, va a teatro, nei circoli per scrittori e nei caffè. Una Varsavia che legge dell’ascesa di Hitler sulle prime pagine dei giornali e che, per ora, non sembra preoccuparsene. Ed ecco quindi due mondi egregiamente tratteggiati da Singer: da un lato quello nuovo di Griedinger, fatto di donne, feste ebraiche, discussioni nei circoli per scrittori; dall’altro quello rimasto come un tempo, la vecchia e sempre uguale Krochmalna. Un mondo, quest’ultimo, oggi completamente perduto, ma così vivo nelle pagine dello scrittore polacco: il bazar con lo scannatoio, i mendicanti e, naturalmente, Shosha, dopo due decenni ancora identica, né cresciuta né maturata. «Una deficiente», così la definisce l’attrice Betty, ma per il protagonista che la rivede a distanza di vent’anni, forse, un punto fermo, la serenità, il ricordo tenero del passato, l’amore. Una vicenda che si intreccia con la sempre maggiore determinazione di Hitler, che sta già portando avanti la sua spregiudicata ricerca di spazio vitale per il volk tedesco e che presto, tutti ne hanno il presentimento, attaccherà la Polonia.

Un destino che i protagonisti di Singer sembrano attendere, quasi come fossero umilmente chini di fronte al volere di un Dio che «ha creato la gatta e il topo. La gatta non può mangiare l’erba, deve mangiare la carne. Non è colpa sua se uccide i topi. Certamente i topi non ne hanno colpa». Un’affermazione, quella del protagonista, forte ma insieme intrisa di sarcasmo e humor tipicamente ebraici, capace di svelare il dramma e la spaventosa inarrestabilità degli eventi. Le notizie allarmano, alcune strade divengono regno di fascisti polacchi antisemiti e violenti, ma nessuno sembra voler lasciare il proprio Paese. Una scelta che il lettore, che ben conosce la Seconda Guerra e l’Olocausto, spera sino all’ultimo possa cambiare, modificando l’epilogo che incombe sui personaggi.

Valentina Sala

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