“Born Invisible”, la recensione della mostra di Sheila McKinnon

Nel mondo, una donna su tre è vittima di violenze fisiche o mentali da parte del partner o di violenza sessuale da parte di sconosciuti. Di queste, la stragrande maggioranza non denuncia il proprio carnefice e resta muta, nell’ombra, in molti casi priva di qualsiasi diritto ed esposta alla vergogna e a ogni sorta di “vendetta sociale” da parte dei propri familiari. La mostra fotografica di Sheila McKinnon parla proprio di loro, di bambine, adolescenti e donne “nate invisibili” nei territori più poveri del pianeta, dove regna l’ignoranza e il solo fatto di essere femmine nega loro la possibilità di una formazione completa. Le “Born Invisible” sono circa un miliardo in tutto il mondo, concentrate soprattutto in Africa e nel sud-est asiatico dove la McKinnon ha viaggiato spesso, incontrando bambine e ragazzine costrette a rinunciare agli studi per aiutare la famiglia e nei casi peggiori forzate alla prostituzione o schiavizzate. Nel video di presentazione della mostra, la fotografa canadese racconta di come abbia “potuto dar voce alle donne che non ce l’hanno attraverso la mia macchina fotografica”. Ed è proprio questa la conquista più grande: la cosiddetta “eredità del silenzio” trova una breccia proprio grazie agli eccezionali scatti dell’artista, cinquanta fotografie esposte fino al 28 settembre nel museo di Roma in Trastevere, in cui l’occhio della fotografa esalta l’intensità dei colori mettendoli in relazione con gli occhi delle bimbe ritratte che trasmettono purezza, vacuità, innocenza e voglia di vivere allo stesso tempo. La mostra, curata da Victoria Ericks, permette di ammirare il lavoro della McKinnon in India, Etiopia, Vietnam, Thailandia, Yemen, Libano, Nepal, Mozambico e tanti altri luoghi del “sud del mondo”, in un arco di tempo che va dal 1992 al 2013.

Dalle bambine delle Bidonville di Kolkata alle donne portatrici di acqua africane, fino alla foto della ragazzina di 12 anni che tiene in braccio sua figlia appena nata a Kenema, in Sierra Leone: l’artista nord americana racconta realtà invisibili e inudibili di luoghi dove regna l’ineguaglianza di genere, supportata dalla tradizione e legata a doppio filo a primitive pratiche culturali e religiose. In contesti simili è la povertà e di conseguenza la mancanza di una pianificazione familiare a dettare legge: molti genitori sono costretti a vendere le proprie figlie a gente spietata che dietro la promessa di un lavoro rispettabile in un altro Paese, sfrutta e riduce in schiavitù le ragazze. La tratta delle schiave è l’affare più redditizio al mondo: ogni anno fa guadagnare circa 32 miliardi di dollari alle organizzazioni criminali. E la maggior parte delle persone vendute finisce per strada a prostituirsi. Il lavoro della McKinnon si intreccia inevitabilmente con la questione dei diritti umani e delle ingiustizie sociali. I suoi scatti sono la classica testimonianza che squarcia un velo oscuro e getta luce su mondi paralleli altrimenti del tutto sconosciuti.

Paolo Gresta

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