Miró in mostra a Milano? Da vedere: ecco perché

È già un successo annunciato la mostra Joan Miró La forza della materia del Mudec – Museo delle Culture di Milano, inaugurata il 25 marzo e che qui resterà fino al prossimo 11 settembre, con oltre 50mila biglietti acquistati in prevendita. Il museo infatti continua con una retrospettiva dedicata al pittore catalano il percorso iniziato con Gauguin Racconti dal Paradiso lo scorso anno ed evidentemente la scelta di puntare sui Maestri paga, almeno in termini di affluenza. Ovviamente sarebbe del tutto inutile in questo contesto disquisire ulteriormente sul valore dell’opera e sull’importanza nella Storia dell’Arte moderna di Miró, lascio ad altri il compito di ricordare le sue tesi “antipittura”, il suo amore per la poesia e il territorio… quello che mi preme sottolineare è che analogamente a quanto accade nel mondo del teatro dove per assicurarsi il favore del pubblico ci si rifugia nella produzione di classici (da Shakespeare in poi), anche il mondo dell’Arte ha le sue “puntate” sicure. Una comunicazione efficace, un titolo accattivante accompagnato da una immagine riconoscibile e buona parte del lavoro è fatto, le code assicurate. C’è però una motivazione più sottile, certo non presente in ogni retrospettiva dedicata a un grande Nome ma che va invece apprezzata e sottolineata quando si visitano mostre ispirate come questa (peraltro di notevole volume: oltre 140 opere provenienti in massima parte dalla Fundació Joan Miró di Barcellona arricchite con prestiti da altre fonti suddivise in 4 sezioni in cui si riprende il contesto storico di Miró, si illustrano le tecniche artistiche che usava e ci si sofferma sulla sua attenzione alla materia e alla matericità) ed è il fatto che si restituisce alla Leggenda una propria dimensione umana ed artistica. Le opere di Joan Miró infatti sono oggi forse più universalmente note come “segno”, così grafiche e riconoscibili come sono. Quasi si fossero inventate da sé, fossero nate già perfette, e hanno in parte cannibalizzato l’attenzione dal percorso artistico del quale sono la conclusione. Mondrian, prima di arrivare alla sua griglia geometrica è partito da boschi di betulle, che piano piano si sono essenzializzati. Lo stesso accade a Miró. Un taglio di Fontana è nulla se non si considera il contesto, lo stesso rischia di accadere -in misura diversa- a ogni Artista il cui nome è consegnato alla Storia.

Joan Miró Personaggi e uccello, 1937 Inchiostro di china e acquerello su carta, cm 25 x 32 Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016
Joan Miró “I due amici”, 1969 – Acquaforte, acquatinta e carburo di silicio, cm 71,5 x 106,5 – Barcellona, Fundació Joan Miró © Successió Miró by SIAE 2016

 

La prima parte della mostra Joan Miró La forza della materia è quindi l’introduzione, l’inizio di un percorso, di cui noi certo conosciamo il punto d’arrivo ma che è fondamentale ripercorrere seguendolo cronologicamente in toto, in un’operazione che non è pura didascalia, ma indagine, approfondimento psicologico, un risalire alle radici della sua ispirazione. Grazie a questo inizio nel resto dell’allestimento è quindi facile ritrovare poi l’uomo oltre che l’Artista. Riconoscere la sua curiosità per i materiali (carta semplice, carta da imballaggio, tele, cartoncini, legno…) e per le forme. Capire che quel nero, che nelle riproduzioni pare lucido e perfetto, con le sue sbavature, imperfezioni, screpolature del colore rende vero ed emozionate l’incontro con l’Arte. La scelta poi di raccogliere in due sale molte sue sculture-assemblaggio (così diverse dalle sue più note grandi opere levigate e rifinite), fatte come sono di oggetti reali: piatti rotti, bulloni, persino un tovagliolo piegato che diventano la base per opere in bronzo (sono esposte senza soluzione di continuità sia i modellini da cui è partito, sia le opere finali), è un modo intelligente per far capire che quella curiosità era la molla attraverso cui scattava il processo creativo, il suo saper vedere al di là dell’apparenza. Per questo una visita a questa mostra penso sia necessaria, perché parla di Joan prima ancora che di Miró. Una mostra dedicata a un classico ha un senso quando spiega la Storia e non la celebra alimentando il mito.

Joan Miró - Personaggi e uccello, 1937 - Inchiostro di china e acquerello su carta, cm 25 x 32 - Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016
Joan Miró – Personaggi e uccello, 1937 – Inchiostro di china e acquerello su carta, cm 25 x 32 -Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016

Quindi la mostra su Mirò allestita a Milano non va vissuta come un omaggio dedicato a un Grande della pittura, ma come un appassionato percorso di riscoperta. Paradossalmente è solo approcciando Miró senza retorica, come hanno fatto Rosa Maria Malet e Francesco Poli (i due curatori), con un allestimento pensato principalmente in funzione del visitatore più che dell’Artista, che di quest’ultimo si capisce la grandezza. Una menzione particolare va quindi all’allestimento. È raro trovare negli spazi espositivi italiani una tale attenzione e cura al dettaglio, al contorno delle opere esposte. L’illuminazione è perfetta. Non un riflesso su un vetro, mai la necessità di spostarsi per vedere meglio un quadro, ma una luce che punta, illumina, sottolinea come strumento senza che tu te ne renda conto. Impeccabile. A questo si aggiunge il valore dell’aver pensato a diverse postazioni multimediali attraverso cui l’esperienza della visita diventa anche ludica (prima ancora che tecnologica). Dopo aver concluso la visita mi sento tranquillamente di dire che… a Joan sarebbero davvero piaciute. Ho definita necessaria questa mostra prima. È un termine che amo molto e quindi uso spesso ma sempre consapevolmente, dandogli il giusto peso e valore. Necessaria è la mostra Joan Miró. La forza della materia, ma necessario è anche uno spazio museale giovane e determinato a fare la differenza per Milano, come il Mudec e il suo percorso artistico.

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