MIMMY DEI BRIVIDI, UN LIBRO DA DEGUSTARE

Degustare un libro si può? È la scommessa di Gabriella Belisario autrice di Mimmy dei Brividi (Ghaleb Editore, pp 224, Euro 10,00), libro che verrà presentato questo pomeriggio, 3 gennaio 2012, alle 17.30 a Formello (Roma). Stavolta non è il gusto pastoso delle madeleines che incanta Proust a imprimere un timbro sensoriale alle pagine di Mimmy, e nemmeno il più rustico aroma dell’olio di oliva che frigge, o il profumo fresco e passante del bicchierino di Mistrà dopo cena, come metafora di casalingo piacere come è successo all’ osteria dei Pazzi il 10 dicembre scorso. Questa di Formello non è una degustazione gustolfattiva ma tattovisiva. Nella scoperta dei 5 sensi del libro si esploreranno quelli legati alla vista e al tatto.

IL LIBRO – L’io narrante, Gabriella Belisario, è una donna che esce del periodo lungo e buio della malattia. La sorella e il fratello, figli e nipoti la soccorrono con imprevisto affetto. Vuole ricambiare. Scopre che l’unica cosa rara e preziosa che possiede è la conoscenza del complesso groviglio emotivo della dinastia, il genoma psicoaffetivo delle famiglie d’origine. Una psicogenealogia dunque, brodo di cultura di destini, insomma Family Constellation. Il “La”, il colpo di bacchetta che ha dato inizio alla sinfonia, ha come protagonista una donna unica nel suo genere: Mimmy Barberini Baciucchi. Una nonna, Mimmy, dai gusti noir, la cui specialità in cucina era il fritto misto all’italiana, preparato con la stessa gestualità solenne di un maestro di musica. Come psicorituale terapeutico Gabriella, l’autrice, torna neonata. Un viaggio indietro nel tempo tentando di ridefinire il volto di questa nonna, che domina e decide della sorte della discendenza.

Mimmy, che nasce alla fine dell’800, è la bella e algida figlia del Regio Capocancelliere del Tribunale di Roma, e costi quel che costi ha un suo ideale di famiglia e di rispettabilità, ideale al quale sacrifica tutto, amore, marito figli, generi e nipoti. In gran segreto. Una Roma in grande trasformazione fa da sfondo alla vicenda. Quartieri come Borgo e Prati, storie e fantasmi, Chiese dei miracoli e delitti, osti e papi, scandali e processi celebri. E su tutto troneggiano le visite al Camposanto del Verano che l’implacabile nonnina viveva con partecipazione contemporanea. Una partita complessa che ha l’aroma del punto di fumo dell’olio d’oliva, della carta paglia dove si sfarina il pangrattato rosé, il sapore croccante, friabile, asciutto, come sottofondo la melodia di un requiem, basta osservare come le mani terribili della nonna contattano le singole componenti del “misto” dalle padelle ai piatti di portata deponendole con una gestualità fatale, una ad una in tondo, come le ore di un orologio. O il profumo corposo del brodo che evapora umori carnei, o le bruciate sembianze della testina d’abbacchio.

Lampeggia nel corso del racconto, elusivo e nascosto eppure decifrabile, frammisto al quotidiano scorrere del tempo con i riti di consumo di una borghesia che si scopre fuori dall’incubo nazifacista ma non riesce, ancora, a sorriderne, tra colpe e virtù, e ombre del passato che ritornano. Un itinerario nelle austere pieghe della rinuncia, dell’orgoglio, del pregiudizio, del cinismo romano misto alla fierezza di un nuovo sentire al femminile.

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