Leyla Khalil, intervista alla scrittrice italo-libanese

Leyla Khalil, italo-libanese classe 1991, è scrittrice e mediatrice culturale. Ha pubblicato racconti e poesie in antologie per diverse case editrici. Collabora con facciunsalto.it per cui cura due rubriche: “Cosa borbottano le pentole?” e “La Grasse Matiné”. E` ideatrice e curatrice del progetto editoriale “Fast Writing – Scritti di rapida consumazione”, di cui ha curato per Edizioni Ensemble la prima edizione. Nel 2015 ha vinto il premio Slow Food del Concorso Lingua Madre con il racconto “Ricordi Congelati”. L’abbiamo incontrata pochi minuti prima della presentazione romana del suo primo romanzo, “Piani di fuga” (Edizioni Ensembre), in una location suggestiva e accogliente come il Book Bar Barattolo, ritrovo di artisti gestito dall’attore Raffaele Vannoli, a due passi da Piazza San Pietro.

Allora Leyla, presentati ai nostri lettori. Tu sei nata in Italia, origine paterna libanese, mamma italiana. Parli con accento romano e vivi a Padova. Chi sei?

(Ride, ndr) Ho fatto anche l’Erasmus a Parigi, mettiamoci anche quello dai! Geograficamente Leyla Khalil non è nessuno di preciso, nel senso che non c’è una radice unica, neanche la parte italiana di famiglia è soltanto romana. Hai ragione, la voce parla romano, ma non la sento come radice unica.

Ti ha mai creato problemi questo? Il tuo rapporto col cognome?

Ah, bella domanda! Beh, sì. Per anni ho cercato di camuffare il più possibile il lato libanese, adesso invece noto che i ragazzi di seconda generazione che crescono qui sono molto più spronati a valorizzare la doppia cittadinanza, la molteplicità delle proprie radici. Prima non era così.

Cosa fai nella vita, oltre a scrivere? Ho letto che sei mediatrice, cosa significa?

Sì, adesso sto lavorando come mediatrice in un corso di agricoltura biologica per giovani stranieri richiedenti asilo, a Padova. Nel frattempo, come operatrice sempre nel campo della mediazione culturale, sempre a Padova, lavoro in una cooperativa per tutto quello che riguarda la quotidianità dei migranti, quindi dal report salute giornaliero fino alla preparazione delle storie che loro poi portano in commissione, la loro traduzione, e tutto quello di cui possono aver bisogno.

Leyla-Khalil-scrittrice-intervista
Leyla Khali

Leyla, tu sei giovanissima, impegnatissima, hai scritto molti racconti, collabori con diversi siti internet, gestisci anche delle rubriche sulla cucina, sei un’appassionata. Tant’è che il racconto con cui sei entrata tra le vincitrici del concorso Lingua Madre, premiato all’ultimo Salone Internazionale del Libro di Torino, “Ricordi congelati”, affrontava il tema del ricordo di una nonna nei sapori dei suoi cibi conservati. Il rapporto tra letteratura e cibo mi sembra che sia un aspetto che tu hai curato in questi anni.

Allora, fammi chiarire una cosa. E` un tema che ho sicuramente affrontato. A me piace cucinare, ma questo è un discorso a parte. Poi i legami tra le appartenenze culturali, la letteratura e l’alimentazione, li vedo sotto un’altra luce, che è l’interesse antropologico per i simboli che si nascondono nel cibo. Per me vincere quel Premio Slow Food è stato molto strano e ti dico perché. Nel 2013 ho curato un’altra antologia che si chiama Fast Writing – Scritti di rapida consumazione, sempre per l’editore Ensemble. Non era né un’apologia né una critica dei fast food, ma una raccolta di racconti di autori emergenti, tutti ambientati o comunque legati al fast food come “non luogo”. Si tende sempre ad associare la figura dello scrittore al bistrot, no? Eh, adesso c’è il degrado, si va di corsa, e via dicendo. Ecco, a me interessava invece questa nuova spazialità, volevo dare una chanche alle storie e ai racconti che possono nascere anche in posti come i fast food. La nostra realtà è questa. Quindi trovarmi a vincere un premio assegnatomi da chi li condanna a piè pari è stato quantomeno bizzarro. Non mi ci sono riconosciuta molto, devo dire la verità.

Veniamo invece al tuo primo romanzo presentato a Roma. Partiamo dal titolo chiaramente: Piani di fuga.

E’ la storia di due ragazzi che rifuggono delle finte libertà. Entrambi iniziano a fuggire per motivi diversi ma spinti dalla paura. Quando si rincontrano, dopo anni, capiscono che le loro fughe erano vincolanti quanto le paure da cui scappavano. E che soltanto liberandosi fino in fondo, poi leggerete come, si può raggiungere un obiettivo davvero liberatorio. Se vogliamo, è una riflessione intorno al concetto di libertà.

Un momento della presentazione
Un momento della presentazione

Immagino quindi che ci sia la tua concezione di libertà in questo libro.

Sì. Forse è l’unico tratto legato all’autobiografia, perché per il resto la trama è iniziata sette anni fa, avevo solo 17 anni, quindi non ci sono esperienze vissute, è solo finzione. Però la riflessione di base è la mia, senza dubbio. Per dirti, la mia tesina al Liceo era sul paradosso della libertà. Più la cerchi e più diventa vincolo. A volte.

Non posso non chiederti se scrivere è un piano di fuga oppure una maggiore vicinanza alla realtà.

(Ride, ndr) Se avrete voglia di leggere il libro, vedrete che a un certo punto i due protagonisti decidono di liberarsi di tutti i libri perché si rendono conto di essere stati troppo tempo incatenati a questa finzione! Quindi, dipende chiaramente anche dall’uso che si fa della scrittura. Può anche diventare vincolo, senz’altro. Nel mio caso specifico, spesso è stata più una maniera di razionalizzare i problemi e quindi di evitare quelle finte fughe da cui partono i personaggi del romanzo. Prima affrontare le cose e solo dopo, eventualmente, allontanarsene.

 

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