IL SILENZIO DELLA POESIA: DAVID GROSSMAN

«E’ difficile rimanere umani in una situazione tanto disumana», dichiara David Grossman a Paola Zanuttini, inviata del Venerdì di Repubblica.

E per cercare quell’umanità che non c’è più o che forse non c’è mai stata lo scrittore israeliano si è rifugiato nella poesia, perché – come sostiene la moglie – è la forma scritta che più si avvicina al silenzio. Nel libro, che si intitola “Caduto fuori dal tempo” e che è edito da Mondatori, l’autore israeliano affronta il delicato tema della morte di un figlio. Un libro autobiografico, dunque, considerando che Grossman ha perso il figlio Uri nel 2006, durante la guerra israelo – libanese.

“In caduto fuori dal tempo” tutto comincia con un’immagine, un gesto, un movimento di misteriosa, evocativa potenza: un uomo si alza all’improvviso da tavola, prende commiato dalla moglie ed esce per andare “laggiù”. Ha perso un figlio, anni prima e “laggiù” è dove il mondo dei vivi confina con la terra dei morti. Non sa dove sta andando, e soprattutto non sa cosa troverà. Lascia che siano le gambe a condurlo, per giorni e notti gira intorno alla sua città e a poco a poco si unisce a lui una variegata serie di personaggi che vivono lo stesso dramma e lo stesso dolore: il Duca signore di quelle terre, una riparatrice di reti da pesca, una levatrice, un ciabattino, un anziano insegnante che risolve problemi di matematica sui muri delle case. E l’uomo a cui è stato affidato l’incarico di scrivere le cronache cittadine. Ciascuno ha la propria storia, chi ha perso il figlio per una grave malattia, chi in un incidente, chi in guerra. Insieme a loro idealmente, visto che non può muoversi dalla sua stanza, c’è anche una strana figura di Centauro, con la parte inferiore del corpo che nel tempo si è trasformata in scrivania. È uno scrittore che da quindici anni vive circondato dagli oggetti del figlio che non c’è più, e il cui unico desiderio da allora è catturare quella morte con le parole. “Non riesco a capire qualcosa finché non la scrivo” dice. È lui a ispirare e a inglobare la storia che stiamo leggendo.

La marcia di quei genitori prosegue in giri sempre più ampi intorno alla città, monologando o dialogando ognuno di essi parla di sé, del desiderio di rivedere almeno una volta il proprio figlio, della vita che si è interrotta in quel tragico momento. E ognuno ha una sua voce, che Grossman in modo sublime trasforma nella voce della poesia, la lingua del dolore. Arriveranno “laggiù”? Sì, ci arriveranno, fusi a quel punto in un coro di pura e profonda umanità. E noi con loro, in pagine di sconvolgente intensità e verità. Per capire, insieme a Centauro, che il cammino di questi uomini e donne esiliati nella terra del dolore è stato una “lotta contro la distruzione, la cancellazione, l’oblio”, il bisogno di dare un paesaggio a quella terra, la volontà di sottrarre la memoria alla tenebra per riconsegnarla alla vita.

L’AUTORE

David Grossman è nato nel 1954 a Gerusalemme, dove vive. Ha cominciato la sua carriera come giornalista in una radio israeliana, ed è diventato un caso letterario internazionale nel 1988 grazie al successo di Vedi alla voce: amore. È autore di romanzi ormai famosi, tutti pubblicati da Mondadori: Il libro della grammatica interiore (1992), Ci sono bambini a zigzag (1996), Che tu sia per me il coltello (1999), Qualcuno con cui correre (2001), Col corpo capisco (2003) e A un cerbiatto somiglia il mio amore (2008). Ma David Grossman è anche autore noto e amato di libri per bambini e per ragazzi, fra cui ricordiamo la serie dedicata a Itamar, Il duello, Buonanotte giraffa e i più recenti La lingua speciale di Uri e Ruti vuole dormire. Del suo pubblico impegno a favore del processo di pace in Medio Oriente (per cui collabora regolarmente a testate come “la Repubblica”, “The Guardian” e “The New York Times”) sono infine testimonianza i saggi- inchiesta Il vento giallo (1988), Un popolo invisibile (1993) e le raccolte di articoli La guerra che non si può vincere (2003) e Con gli occhi del nemico (2007).

 

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