Denis Lachaud: “Frédéric smarrito tra i suoni”, la recensione

Denis Lachaud, Frédéric smarrito tra i suoni, traduzione di Sergio Claudio Perroni, 66thand2nd, 2014; 16  euro

Frédéric smarrito tra i suoniA chi non è capitato, nel corso di una conversazione, di perdere il filo del discorso? In queste occasioni siamo soliti dire che “eravamo con la testa da un’altra parte”. E da un’altra parte sembra costantemente ritrovarsi Frédéric, protagonista e narratore in prima persona del romanzo di Denis Lachaud. Tutti noi, quando “perdiamo un pezzo del discorso”, chiediamo scusa per la mancata attenzione e, senza difficoltà, riannodiamo i fili della conversazione, portando così a termine la nostra chiacchierata. Per Frédéric le cose vanno diversamente. Non si tratta per il giovane adolescente di rimettere insieme le parole dell’interlocutore, sopperendo a un attimo di distrazione. Le parole dell’altro, che sia il fratello o il compagno di scuola, sembrano scivolare su Frédéric, senza riuscire a fermarsi, a coagularsi in un discorso compiuto. Per questa ragione si è munito di un dittafono con cui poter riascoltare le parole che gli altri gli rivolgono. Soltanto così le parole, estrapolate dal contesto dello scambio a viva voce, potranno sedimentarsi nella mente di Frédéric e, finalmente, dispiegarsi nel loro senso. E’ l’uso del dittafono a presentarci il filo conduttore di questo testo, flusso di coscienza ricco di spunti per ripensare il nostro quotidiano rapporto con il linguaggio. Frédéric può comprendere le parole rivoltegli solo riascoltandole poiché fuori, nell’incedere dello scambio linguistico, si sente come ci sentiamo tutti quando andiamo in una terra di cui non conosciamo lingua e costumi: spaesati, privi di orientamento. Le cause di quesa sorta di smarrimento linguistico ce le presenta Frédéric stesso: nativo di Parigi è dovuto espatriare ancora piccolo in Norvegia per via del lavoro del padre. Per le stesse ragioni la famiglia si è trovata a spostarsi a Berlino, dove la narrazione debutta. Frédéric non ha avuto difficoltà ad aggiungere all’uso della lingua madre e dell’inglese quello del norvegese, prima, e del tedesco, poi. Ognuna di queste lingua è sua ma, lui, non è in nessua di queste. Il tema della lingua si rivela così essere quello dell’identità, come sempre più si evincerà nel corso della lettura. Il nuovo spostamento in Israele porterà infatti Frédéric a perdere la nozione di sé o, meglio, a ricostruirla a partire da quella degli altri. Privo di riferimenti Frédéric si identifica nelle storie degli ebrei ashenaziti e sefarditi che, in fuga dalle terre d’origine, hanno trovato nella lingua ebraica l’unico “luogo” in cui sentirsi se stessi.

Cosimo Nicolini Coen

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