CARLO TRUPPI: «SCRIVO PER VEDERE L’INVISIBILE»

Carlo Truppi nel suo ufficio

Carlo Truppi si definisce un architetto-scrittore e si occupa dei processi di realizzazione dell’architettura e delle connessioni tra l’architettura e gli altri campi del conoscere. Il suo impegno lo ha portato a vincere il premio “Città del Tricolore” di Reggio Emilia per l’ultimo romanzo In concerto, oltre alla segnalazione di merito nell’ambito del Premio nazionale di Arti letterarie “Città di Torino” per il suo In difesa del paesaggio.

Professor Truppi, recentemente ha ricevuto due prestigiosi riconoscimenti. Se lo aspettava? Cosa significano per lei?
Non ho aspettative, lavoro per convinzione e passione. Un risvolto moto interessante perché continuo a proseguire lungo questo percorso parallelo, saggistica e narrativa, col paesaggio come sfondo e come approdo.

Com’è nata la sua passione per la scrittura?
E’ nata da ragazzo. Tante cose di quelle che leggevo mi coinvolgevano, mi trasmettevano piacere e significati, insegnamenti e regole che ho sempre seguito. A cominciare da Hemingway: le sue regole erano appese sulla parete della mia stanza. Poi è arrivato il tempo di altri scrittori, che porto sempre con me.

Lei viene definito un architetto-scrittore. C’è un analogia tra le due cose?
La ringrazio per la domanda: le accomuna una radice. Nascono entrambe da una suggestione, un’immagine e entrambe si adoperano per passare dall’ideazione alla realizzazione, storicizzare l’evolversi delle immagini e costruirle. Implicano entrambe l’imparare facendo, lo stimolo di un’intuizione, di un sogno, lo spingere a fare

Nel suo libro, In difesa del paesaggio, affronta un tema molto attuale, quello della valorizzazione delle bellezze naturalistiche e architettoniche del nostro territorio. Ma, in concreto, cosa si potrebbe fare per salvaguardare il paesaggio?
Nel testo è stato predisposto un modello per una “politica della bellezza” finalizzata alla salvaguardia, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio ambientale e urbano. Tale modello delinea un’azione strategica volta al mantenimento delle caratteristiche, quali elementi costitutivi fondamentali, al fine di integrare i valori paesaggistici preesistenti con i nuovi da attuare. Le architetture uniformemente scatolari e cubiche sono da evitare, bisogna bloccare questo fenomeno, l’architettura ha sempre determinato gioia e vivibilità. Basta col subire queste sconcezze o addirittura contribuire a farle.
Queste sconcezze generano malessere, provano che si procede prescindendo dal sentimento sacrale della Bellezza, fanno scattare ribellione e rabbia, da non considerare come improduttiva polemica, ma come motore per l’attivazione di nuove strategie di intervento, senza prescindere dalle caratteristiche territoriali.

Nel secondo romano, In concerto, affronta da una prospettiva nuova lo sbarco dei clandestini sulle coste siciliane. Come mai ha sentito l’esigenza di raccontare questa storia?
Perché vivo a Siracusa, la terra che ancora rende omaggio alla tragedia. La nascita della tragedia spinge a rappresentare l’invisibile. Apporta luce nel caos delle suggestioni, stacca un grumo di chiarezza, posando lo sguardo su un fenomeno che porta alla comprensione. Vedere l’invisibile, cogliere ciò che risulta incomprensibile.

Si è ispirato a qualche episodio o persona in particolare?
Come episodio, all’eccidio avvenuto, nel settembre 2004, a Beslan, dove una scuola venne occupata da terroristi ceceni e ci fu una strage di bambini, cosa mi colpì moltissimo. È il motivo per il quale la protagonista, Kristina, fugge con sua figlia, Yuli, da quella terra. Sono entrambe tra i clandestini che sbarcano sulle coste della Sicilia, a Siracusa, in cerca di asilo e di rifugio. Come persona, a Sauro De Luca, mio nodale punto di riferimento, col quale tante volte ho approfondito il fare memoria, suo sacro fulcro tematico. Per questo i protagonisti si portano in concerto a Beslan, dove mettono in scena la tragedia superata, facendone memoria grazie all’integrazione di varie arti – Paolo è pittore, Riccardo architetto, Kristina poeta, Pier musicista -, grazie soprattutto all’arte della vita, stando insieme con amicizia e con amore.

C’è un altro libro in cantiere?
Più di uno. A gennaio escono: I luoghi dellanima visti con Wim Wenders; il nuovo con James Hillman – in corso dal 2008; la riedizione di Il treno nella stanza – rielaborato e ampliato; la riedizione di Continuità e mutamento – mio testo di svolta, col quale sono passato dal disciplinare all’universale.
Il nuovo romanzo, invece, sarà in libreria tra qualche mese. La data non è stata ancora definitivamente fissata.

Piera Vincenti

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