ABATE: LA COLLINA DEL VENTO? UNA STORIA DI RISCATTO PER LA CALABRIA E IL SUD

Carmine Abate, lo scrittore calabro – arbëreshë, presenta nelle Feltrinelli d’Italia il suo ultimo romanzo che è in vetta alle classifiche già da molte settimane: “La collina del vento”. Vincitore del Premio Campiello 2012, Abate continua a stupire, raccontando a modo suo le storie che ha ascoltato quando era bambino. Un viaggio affascinante nella “metamorfosi della memoria”, racconti del passato che concretamente riescono a migliorare il nostro presente.

Iniziamo parlando del romanzo che le ha fatto vincere il prestigioso Premio Campiello. Qual è stata la genesi de “La collina del vento?”

Tutto nasce per l’appunto da una collina, che io vedo sempre quando torno in Calabria. Fin da ragazzo la ammiravo e ne ero affascinato, come se fosse avvolta da una qualche magia. Non so nemmeno se questa collina abbia un nome, quello che so è che fin dalla primavera i fiori di sulla (che crescono su di essa in maniera selvatica) la colorano di un incredibile rosso porpora. Inoltre non dobbiamo dimenticare che siamo nel cuore della Magna Grecia. Per questo da sempre ho immaginato che questa collina potesse nascondere i più grandi segreti. Ho sentito l’esigenza di scrivere questo libro perché volevo raccontare quello che c’è in superficie, ma soprattutto ho sentito il bisogno di riportare a galla le memorie del sottosuolo.

E per riportare a galla queste memorie ha utilizzato nella storia l’archeologo Paolo Orsi…

Guardi, questa scelta è dovuta a una lunga serie di coincidenze. Quando ho iniziato a insegnare, ho fatto la prima supplenza in una scuola media in Trentino intitolata proprio a Paolo Orsi. Sinceramente non sapevo nulla di lui, nemmeno i miei colleghi avevano idea di chi fosse. Ancora oggi credo siano in pochi a conoscerlo, nonostante sia stato il più grande archeologo italiano.  Ho iniziato a interessarmi a lui quando ho scoperto che aveva scavato a cinque chilometri da casa mia, a Punta Alice, facendo rinvenire i resti del tempio di Apollo Aleo. Ma le coincidenze non sono finite… approfondendo i miei studi su Orsi ho scoperto che gli operai con cui aveva scavato erano albanesi e io provengo proprio da un paese in cui si parla l’albanese antico:  sono infatti un madrelingua arbëreshë .

Altro personaggio realmente esistito che lei fa rivivere nel suo romanzo è il celebre Umberto Zanotti Bianco…

Esatto: ho ammirato fin dal primo momento sia Orsi, sia Zanotti Bianco. Soprattutto ho amato il loro sguardo: entrambi per tutta la loro vita hanno osservato obiettivamente la mia Calabria, cogliendone non solo gli aspetti negativi, ma anche quelli positivi. Ecco che anche io, grazie a loro, ho cercato di raccontare il mio sud con questo sguardo privo di pregiudizi. Oggi i libri che hanno più successo sono quelli che parlano di ‘ndrangheta. Nessuno vuole negare la sua esistenza, ma io ho cercato di far capire che non è l’unico aspetto della complessità di questa regione.

Come si è sentito quindi quando ha saputo di aver vinto il Premio Campiello?

Felice! Felice di aver raggiunto un simile traguardo con quello che posso definire un atto d’amore per la mia terra, un atto d’amore per i miei padri. Sinceramente non me l’aspettavo, non con quello scarto nel punteggio. Credo di aver scritto un romanzo molto positivo, non ho voluto lanciare nessun messaggio: non amo i libri didascalici, credo che gli insegnamenti debbano uscire spontaneamente dalla forza della storia. Gli italiani hanno da subito apprezzato e capito questo lavoro, tanto è vero che nel giro di pochissimo tempo è salito in vetta alle classifiche. I lettori hanno subito compreso che “La collina del vento” è una storia di riscatto per la Calabria e per tutto il Meridione.

Prima lei ha detto di essere un madrelingua arbëreshë … può spiegarci quindi qual è il suo rapporto con la lingua italiana?

Spesso dimentichiamo che quando parliamo di “madrelingua”, ci riferiamo alla lingua della mamma, quella con cui i nostri genitori da bambini ci raccontavano le storie. Io ho due figli nati in Germania che parlano perfettamente tedesco, ma con loro fin da quando erano piccoli le parole più affettuose le ho sempre dette in arbëreshë. Sono nato arbëreshë e inevitabilmente anche quando scrivo in italiano, le parole nella mia lingua si impigliano tra le pagine. Con il tempo ho scoperto che sono proprio queste parole a portare a galla le mie storie. Sono un perfetto bilingue e amo l’italiano. Però, a voler proprio specificare, posso tranquillamente dire che l’italiano è la “lingua del pane”, mentre l’ arbëreshë resta la “lingua del cuore”.

“Lingua del pane” in quanto lei non solo lavora scrivendo libri in italiano, ma lo insegna nelle scuole. Cosa la appaga di più tra lo scrivere e l’insegnare?

Ho sempre fatto entrambe le cose con piacere. Sia nei miei libri, sia a scuola, poi, in tutti e due i casi racconto storie, quindi per me non c’è mai stata una grande differenza. Posso più che altro ritenermi estremamente fortunato per aver avuto entrambe le possibilità: non capita a tutti di poter fare contemporaneamente due cose che gli piacciono!

Nella dedica del suo libro troviamo scritto: “A mio padre, come promesso …” Quanto deve a suo padre per ciò che è diventato oggi?

Mio padre mi ha sempre raccontato storie. Anche nell’ultimo periodo della sua vita me ne ha raccontate: non smetteva mai di andare indietro nel tempo. La promessa di cui parlo nella dedica l’ho fatta a me stesso, non a lui apertamente. Mi sono ripromesso di raccontare al mondo tutte le storie che ho ascoltato, anche quelle più segrete. Io sono fermamente convinto che nessuno muoia mai del tutto, l’importante è continuare a parlare di chi non c’è più, tramandare le storie. Sono diventato scrittore perché da piccolo ascoltavo le storie dei contadini. Ho sempre apprezzato la loro grande dignità, ho imparato molto da loro e in questo libro ho cercato di recuperare queste memorie affinché non muoiano.

Come direbbe Elias Canetti, non sono un custode della memoria, bensì il custode della metamorfosi, cioè della memoria che si trasforma in presente. Ha senso recuperare la memoria solo se serve all’oggi. Io oggi sono  uno scrittore e la memoria è come una grande luce capace di illuminare il mio e il nostro presente.

Maria Rosaria Piscitelli

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