UN INTIMO PENSIERO

Modello disegnato da Crico

Ricordate la polvere di Campanellino, l’amica di Peter Pan che era capace di far volare Wendy e i suoi fratellini? Ecco, nella vita ci sono alcuni giorni in cui quella polverina ci sporca la testa con pensieri negativi, facendola diventare pensante, riempiendola di tanti piccoli problemi. Credo che a volte, però, non vadano affrontati nell’istante in cui li percepiamo. La mente ci invia dei segnali con largo anticipo permettendoci di studiarli, capirli e poi risolverli. Ormai sono abituato a quelle mattine in cui bisogna applicare la teoria del sorridere anche piangendo perché, se costruttive, le lacrime possono far bene. Come fa bene pensare al nostro momento di gloria. Quanti di noi hanno immaginato, sognato e platonicamente vissuto quel momento in cui ci si ritrova su un palcoscenico, su uno schermo televisivo, in uno stadio o su un tavolo rosso a riempirsi l’orgoglio con migliaia di luci, di occhi e bocche piene del nostro nome? Tutti, quindi, siamo capaci di immaginarci bravi e magari, nella nostra fantasia, riusciamo anche a controllare l’impulso del cuore.

Non voglio soffermarmi sulla gloria platonica ma vi chiedo: nel momento prima di uscire nella luce bianca dell’occhio sociale, critico, in quel secondo prima di mostrarsi, come ci si sente? Io credo che quello sia il momento dei conti, mi piace chiamarlo così. Si, il momento in cui tutto ti passa davanti, come delle azioni reali, e ti ritrovi a vederti vivere di nuovo in versione trailer. E lì ti accorgi del tuo raccolto e di come e quanto hai seminato. Sono convinto che è quando siamo soli con noi stessi che capiamo veramente se possiamo godere del diritto do camminare a testa alta sull’asfalto.

Seduto su una sedia comoda, intorno vedo solo quattro pareti bianche, credo siano finte. Mi trovo in un piccolo camerino, di fronte a me uno specchio, enorme. Mi guardo. Guardo ciò che ho fatto, quindi quello che sono diventato. Il viso è ingiallito, colpa delle quattro lampadine sullo specchio, che si posa su un’enorme scrivania di legno, firmata con tanti nomi. Sul tavolo qualche mascara, qualche matita, e intanto la mia mente sogna il mio riflesso che balla. Quando rido, ballo e mi diverto mi sento bello ed è così che la mia mente vuole vedermi, al contrario di ciò che quel vero nemico, lo specchio, mostra di me ora. Mi vedo seduto e vestito di largo. Quando voglio stare con me stesso, la mia comodità è il largo. Noi tutti pensiamo a cosa metterci prima dello sballo, della cena galante, del pomeriggio in giro con gli amici, ma quel minuto prima di vestirci e quel minuto dopo la doccia, cosa indossiamo?

Voglio parlare di un indumento usato da sempre che purtroppo è un must femminile. Precedentemente donava classe e sensualità anche all’elegante maschio, di cui però non ci si sofferma mai. Parlo della seta che indossano le donne prima del , quella che portano le madri dopo aver donato vita, la stessa indossata nelle serate brave con gli ex oppure quando ci si diverte con i mariti propri e delle altre. Oggi, prima che su di me, proietto le luci su quel pezzo di umile eleganza: la vestaglia. Ho scelto quella grezza di panno, cucita ai bordi con i difficili intrecci del macramè bianco. Un vizio regale che la regina Elisabetta si concede da anni. Un po’ corta e arrotondata davanti, arriva fin sotto i piedi nella parte posteriore. Mi piace guardarmi a volte solo in faccia, senza dare all’occhio lo sfrenato egoismo del corpo e la vestaglia mi fa sentire libero. Simbolo di femminilità nei tempi passati, in cui la televisione ma soprattutto le soubrette ne facevano uso. Se seguite la moda è stata fonte di ispirazione nella forma dei capispalla della maison di Jean Paul Gaultier:  una “vestaglia” disegnata con l’antico decoro giapponese e foderata, in un’altra versione, di pelliccia come il soprabito di pelle rosso fiammante, collezione A/I 2011-2012.

Ci sono giorni in cui il tuo pensare è chiaro e la tua giornata scorre perfettamente in piega con l’agenda creativa della mente. In altri, invece, è come bere un bicchiere di vodka senza neanche sentirne il sapore, lo fai perché devi. Sapete qual è a parer mio il sorriso più bello? Quello degli altri quando ti vedono. Mi piace condividere i miei occhi con gli altri e quando mi strucco allo specchio vestito del mio largo è solo uno stupido gioco che immagino un secondo prima di uscire di casa, perché, nel mio caso, il mio tavolo rosso è la mia vita e il mio conto in vestaglia sono le persone che poi mi circondano.

Crico

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