Nel Medioevo i dollari li facevamo noi

  Soldo d’oro  di   Sicone, Principe di Benevento   (817-832) - Rovescio della moneta con l’Arcangelo Michele, patrono della etnia longobarda
Soldo d’oro di Sicone, Principe di Benevento (817-832) – Rovescio della moneta con l’Arcangelo Michele, patrono della etnia longobarda

Elisabetta II sfoggia il suo profilo sulla sterlina di comune metallo, Obama sorride sul dollaro di carta. Meglio il metallo o la carta? Concreti e pratici, i Romani le loro monete le facevano tutte di oro, argento o bronzo. Perciò le chiamavano solidi, i soldi. Noi invece abbiamo inventato i soldi virtuali, la concretezza… immateriale, un ossimoro pericoloso. Solo di coniare monete d’oro, però col trucco, non la smetteremo mai.

       Nell’edicola dell’aeroporto di Napoli osservavo le indicazioni ufficiali  ONE DOLLAR e ONE POUND su un dollaro e su una sterlina d’oro appena  emessi in questo 2013. Rispettandone i valori, cioè un paio di euro al cambio attuale, con quella coppia d’oro avrei potuto comprare soltanto un quotidiano, senza ricevere resto! Ma le indicazioni ufficiali non si devono rispettare. I primi a non farlo sono proprio gli Stati emittenti, che vendono a caro prezzo i loro soldi finti, con ben poco oro. A comprarli sono i collezionisti. E dire che veniamo da epoche in cui le monete d’oro erano veramente d’oro, se ne facevano tesoretti da nascondere in luoghi  impensati, lì dove le ritroviamo, a volte dopo secoli.

       Nell’Alto Medioevo, quando il mondo civile era compreso tra Europa, Africa del Nord e Medioriente, le monete d’oro servivano per le transazioni internazionali, sulla base della reciproca fiducia tra Stati. Uno di quegli Stati, esteso su quasi tutta l’Italia meridionale dall’Abruzzo alla Calabria, era il Ducato longobardo di Benevento, poi Principato, uno stato indipendente il cui rilievo politico e culturale non è diffusamente noto per il fatto che la sua storia resta esclusa dai programmi scolastici, perfino nelle scuole del sud Italia dove la sua eredità vive tuttora nel pensiero e nelle cose, negli usi quotidiani delle famiglie, nella lingua, nei cognomi. Per cinque secoli, dal VI all’XI, Benevento  fu una capitale, un ruolo così distante dall’attuale condizione socio-politica della città che riesce difficile immaginare ciò che accadeva tra le sue mura: ambasciate estere, soggiorni di pontefici e sovrani, transiti di personalità d’ogni livello, di uomini di scienza, di lettere, di arte, eserciti e pellegrini, merci e spezie.

 Soldo d’oro  di   Liutprando, Duca di Benevento  (751-758)
Soldo d’oro di Liutprando, Duca di Benevento (751-758)

  Garantiti dalla Corte longobarda, i soldi d’oro beneventani avevano un valore largamente riconosciuto, come oggi i dollari. Tant’è che in un Convegno di Studi ho ritenuto di definirli appunto dollari dell’Alto Medioevo. Ne esistevano due tipi, il solidus (soldo) e il tremissis (tremisse, un terzo del soldo). Quelli che negli anni ho acquistato per il Museo del Sannio hanno sapore ‘barbarico’ e fascino misterioso. Sul diritto presentano Duchi e Principi a mezzo busto, con chioma e barba lunga, avvolti in mantelli di porpora fermati sulla spalla destra da una fibula a disco tutta d’oro, con al centro un cammeo o decorazioni. Da essa pendono tre catenine terminanti in gemme colorate. Era il simbolo esclusivo dell’autorità sovrana.

       Di soldi e tremisse ne restano pochi. Ancor più rare sono le fibule a disco: il Sud Italia che inventò quei gioielli da favola non ha saputo conservarne nessun esemplare. Dovrete avere rilevanti ragioni di studio ed essere autorevolmente accreditati per chiedere al Direttore dello Ashmolean Museum di Oxford in Inghilterra di trar fuori dalla cassaforte la celebre Fibula ducale di Benevento lì custodita, un capolavoro assoluto del VII  secolo. Avendolo tenuto a suo tempo fra le mani, quel gioiello mi lasciò commosso, sbalordito.

Elio Galasso

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