Iran, Razieh: la sposa bambina che rischia la pena capitale

Un'immagine di Teheran
Un’immagine di Teheran

E’ di pochi giorni fa la liberazione di Meryam, la donna sudanese accusata di apostasia e adulterio, che ha partorito in prigione il suo secondogenito e rischiava la pena di morte. La sentenza è stata annullata, Meryam e la sua famiglia stavano per lasciare il Sudan poche ore fa, ma sono stati fermati all’aeroporto di Khartoum per dei problemi legati ai documenti, in particolare alla dichiarazione scritta che attesta la cancellazione della pena.

Al momento gli Stati Uniti stanno lavorando affinché la questione si risolva al più presto, ma sembra che la giovane mamma e la sua famiglia potranno partire presto. La lotta per i diritti delle donne nel mondo, però, non si ferma e i casi che destano l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sono molti e di non facile risoluzione.

Negli ultimi giorni la vicenda della ragazza iraniana Razieh Ebrahimi ha suscitato nuove polemiche e indignazione non solo per il caso in sé, ma anche per ciò che concerne l’usanza dei matrimoni combinati e l’età delle tristemente famose “spose bambine”. Razieh, infatti, è stata data in sposa dal padre a soli quattordici anni. Secondo il racconto riportato alla polizia dalla stessa protagonista, suo marito, un insegnante, l’ha maltrattata per tre anni, finché lei, esausta, lo ha ucciso nel sonno con una pistola.

Subito dopo ha sepolto il cadavere nel giardino e denunciato la scomparsa del coniuge. L’omicidio è venuto alla luce con l’intervento del padre di Razieh, insospettito dal comportamento della figlia e dall’improvvisa assenza del genero.

Ora la giovane rischia di essere impiccata. La condanna stava per essere eseguita già l’anno scorso, ma Razieh ha rivelato di essere stata arrestata a diciassette anni, cioè quando era ancora minorenne e, per questo motivo, il caso è stato riaperto al fine di valutare, come stabilisce il codice penale iraniano, se vi fosse davvero la possibilità e la capacità, da parte della sposa bambina, di comprendere la gravità del suo gesto e le conseguenze a esso collegate.

Razieh potrebbe evitare la pena di morte se i parenti del marito la perdonassero; è già accaduto qualche mese fa e le immagini hanno fatto il giro del mondo. Una madre ha perdonato l’assassino del figlio proprio pochi istanti prima dell’esecuzione della pena. L’Iran, inoltre, ha ratificato la Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia del 1989, a cui aderiscono 193 Paesi (tra cui l’Italia dal 1991), ma la sta violando in quanto equipara, dal punto di vista penale, i minori di diciotto anni con gli adulti.

Non solo: per le ragazze l’età minima per il matrimonio, in questa nazione, è tredici anni e, partendo da questo dato, l’avvocato di Razieh, Shadi Sadr, evidenzia il fatto che le spose bambine vanno incontro a un destino di cui non possono comprendere totalmente le implicazioni. Per loro, purtroppo, sofferenza e disperazione diventano compagne di vita in grado di distruggerle attraverso gesti irreparabili come il suicidio o, come nel caso di Razieh, l’omicidio. La protagonista di questa terribile storia ora ha 21 anni, un bambino partorito quando aveva solo quindici anni e si trova sospesa tra la vita e la morte, in attesa dell’esecuzione della condanna.

Diverse organizzazioni per i diritti umani stanno cercando di salvarla, smuovendo l’opinione pubblica e, come nel caso di Human Rights Watch, appellandosi direttamente alle autorità e alla magistratura iraniana affinché annullino la pena e tengano conto delle circostanze in cui l’omicidio è avvenuto e dell’età di Razieh. Ufficialmente l’Iran nega che siano mai avvenute esecuzioni di minori, ma Human Rights Watch sostiene, al contrario, che dal 2009 vi siano stati ben dieci giovanissimi giustiziati. Anche stavolta chiudiamo con la speranza che si possa evitare l’impiccagione di Razieh Ebrahimi e quella di tanti altri che sopravvivono nel braccio della morte.

Francesca Rossi

Commenti

commenti

Lascia un commento

Torna in alto