Un’ora di tranquillità di Massimo Ghini, la recensione

Ci sono delle tappe che accadono perché lo si desidera, ma anche perché è arrivato il momento. È stato così per Massimo Ghini che per “Un’ora di tranquillità” si assume il ruolo e la responsabilità di regista, oltre che di interprete. In scena al Teatro Nuovo di Milano fino al 31 gennaio e in tournée fino ad aprile 2016, si tratta di un testo di un trentaseienne francese, Florian Zeller, già premiato con il Molière, e ancora inedito in Italia. Probabilmente, però, qualcuno di voi avrà avuto modo di vedere nelle nostre sale (è uscito il 29 ottobre 2015) “Tutti pazzi in casa mia” di Patrice Leconte con Christian Clavier e forse anche di notare delle modifiche rispetto al testo teatrale di partenza. Ghini ha tenuto a precisare quanto il copione teatrale e la sua resa (in Francia il protagonista lo interpreta Fabrice Luchini) siano differenti da questo lungometraggio «che perde qualche tempo comico» – e noi ci fidiamo non avendo potuto leggere né vedere l’edizione originale. Quando si apre il sipario, non ci viene subito svelata la scena (ben curata da Roberto Crea), ma si parte con dei titoli di testa in cui Michel Leproux (lo stesso Ghini), in un sabato apparentemente come tanti, esce, attraversa la città fino a quando da un rigattiere trova un vinile che cercava da tempo. Il video si chiude con il rientro a casa e sarà questo “antefatto” l’unico excursus all’esterno che lo spettatore vedrà. Per circa cento minuti saremo, infatti, all’interno della casa e, in particolare, del soggiorno. La scenografia vuole essere un po’ provocatoria, desideravano cogliere di sorpresa lo spettatore e crediamo ci siano riusciti, tanto più tenendo conto delle sorprese finali ben calibrate se si pensa alla simmetria e alla posizione degli attori nel momento in cui qualcosa (ac)cade. Sembra di stare su un’astronave con suggestioni anche da ospedale psichiatrico visti i caratteri umani esibiti che ci ricordano come siamo. Una finestra si apre sul simbolo di Parigi, la Tour Eiffel, certo finta, ma a colpirci è stata la forma di questo “oblò”, quasi a richiamare il disco e, a suo modo, un occhio.

un'ora di tranquillità

Il gioco di questa commedia tipicamente francese e volutamente non intaccata in questa sua natura – neanche i nomi vengono cambiati – sta nella spasmodica ricerca di un’ora di tranquillità dichiarata sin dal titolo. A partire dalla moglie Nathalie (una Galatea Ranzi bravissima in questo registro), passando per l’operaio (forse) polacco (Luca Scapparone), il figlio amante dell’hard rock (Alessandro Giuggioli), il vicino polacco (Claudio Bigagli), fino ad arrivare all’amica Elsa (una Gea Lionello vibrante con la sua recitazione diretta) e all’amico Pierre (Massimo Ciavarro al suo debutto teatrale), non gli permettono di prendersi un momento per se stesso proprio come dice il titolo del disco “Me, Myself and I”. A tratti la mente va al film di Sergio Rubini con Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese e lo stesso Rubini, “Dobbiamo parlare”, ora in tournée con lo spettacolo “Provando…dobbiamo parlare”. I nostri di “Un’ora di tranquillità”, infatti, pronunciano quella fatidica frase che dà il là a scombussolamenti emotivi e di fragili equilibri. Noi, dal canto nostro, non vogliamo rivelarvi troppo le dinamiche relazionali e i segreti che verranno a galla perché tanto più se non avete visto il film, non vorremmo togliervi il gusto di scoprire il tutto.

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La traduzione di Giulia Sarafini che gli interpreti masticano bene ci fa sentire come non si sia scaduti nella commedia facilona di alcuni filoni italiani. Anche quando la recitazione può sembrare sopra le righe (vedi alcune cadenze o intonazioni delle due donne) non si va oltre il limite, talvolta si ha anzi l’idea che oltre a divertirsi nel recitare stiano proprio ironizzando, col sorriso, sul personaggio che interpretano e ovviamente su loro e noi. Le battute delle figure femminili richiamano sottilmente qualcosa detta dall’altra qualche minuto prima e anche questo, in fondo, è il gioco della parola teatrale.Va riconosciuto a Massimo Ghini di aver selezionato i giusti attori, rivelatisi assolutamente in parte, supportati anche dai costumi così caratterizzanti (ideati da Silvia Frattolillo). L’artista romano ha esplicitato come sia stato colpito dalla capacità di Zeller di non essere politically correct. Ci piace pensare e ascoltare come ci si ritrovi a ridere in attesa dello schiaffo proprio per questo approccio adottato. Vi consigliamo “Un’ora di tranquillità” per trascorrere una piacevole serata in teatro, divertendovi con qualità e specchiandovi anche un po’.

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