Da Brodway al Cinema: “Jersey Boys” secondo Clint Eastwood

jersey-boys-locandinaEsordio nel musical per Clint Eastwood che, a ottantaquattro anni da poco compiuti, rivisita lo show di Broadway “Jersey Boys”, sulla band pop anni ’60 “Frankie Valli & The Four Seasons”. Tra ciocche ingellate e brillantina, virtuosistici falsetti e furti a orologeria, il “texano dagli occhi di ghiaccio” continua a raccontare contraddizioni e utopie degli States e dei suoi eroi in cerca di riscatto. Questa volta, dopo il docufilm su J. Edgar Hoover, sceglie il biopic musicale e porta sul grande schermo un’opera sontuosa vincitrice di ben quattro Tony e di un Grammy. Lo spettacolo di Broadway esplora gli inizi, il grande successo e il declino dei “fab four” del New Jersey: Tommy DeVito (il Vincent Piazza del serial “Boardwalk Empire”) alla chitarra, Bob Gaudio alle tastiere, Nick Massi al basso e la voce dell’italo americano Frankie Valli (John Lloyd Young). Prima di raggiungere la fama ed essere inseriti nella “Rock and Roll All of Fame” nel 1990, il quartetto di gigioneggianti istrioni si barcamenava in piccoli furti su commissione per conto del boss malavitoso Gyp DeCarlo (un convincente e autoironico Christopher Walken) e intanto cercava di mettere a punto un sound che sarebbe stato presto lanciato dalle più grandi emittenti radiofoniche. Clint Eastwood non riesce a stare lontano dalla musica.

Jersey-Boys

Dopo aver scritto splendide colonne sonore, aver diretto se stesso in “Honkytonk man” e aver riletto la vita del sassofonista Charlie Parker in “Bird”, si cimenta in uno strano “pastiche” a base di commedia fin troppo perbenista, melò studiato e coreografico gangster movie. Film un po’ troppo sovraccarico, spesso monocorde e talvolta incapace di seguire un adeguato climax, complice soprattutto una sceneggiatura discontinua che mescola senza criterio i generi di riferimento (dal musicarello sbarazzino al crime movie semiserio, con intermezzi da commedia classica) senza curarsi troppo di equilibri diegetici e tempi narrativi. Peccato, perché i protagonisti sono eccezionali e hanno voci e movenze sopraffine; Christopher Walken è esilarante nel ruolo dello stanco gangster dalla lacrima facile e le atmosfere retrò contaminate “scorsesianamente” con l’italo americanità dei ghetti, danno un tocco di colorito folklore alla periferia di Belleville. Nella locandina del film, così simile a quella del mirabile esordio di Scorsese (“Mean Streets”), sono ritratti i quattro giovani illuminati da un lampione sulla strada buia. Metafora del successo e istantanea di quell’attimo unico e irripetibile in cui i quattro trovano il sound giusto, quel mix tra sonorità pop, rock anni ’50 e doo-wop lungo il marciapiede solitario. È proprio quest’attimo genuino e incontaminato che il regista di San Francisco non è riuscito a circoscrivere e a valorizzare all’interno di un raffazzonato calderone in cui accenti comici, pistolotti morali e sguardi in macchina divertono, ma non ammaliano. Il finale, fin troppo moralista e predicatorio, esplode in una colorata esibizione collettiva dello scanzonato gruppo. Giù comunque il cappello per un regista capace di reinventarsi ancora una volta esplorando nuovi generi e contaminandoli col suo intimo e poetico gusto classicheggiante.

Trailer: http://youtu.be/-h8WkuJAMVU

Vincenzo Palermo

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