Tokyo Love Hotel: recensione e trailer del film

Non è mai facile parlare di amore e relazioni umane e Tokyo Love Hotel, film di Hiroki Ryuichi, cerca una strada tutta sua per farlo. Grazie al lavoro della Tucker Film, l’opera arriva nelle nostre sale dal 30 giugno, dopo esser stata molto apprezzata al Far East Film Festival e siamo sicuri che colpirà il pubblico che si recherà al cinema. Mentre si assiste alla visione, a volte ci si sente spaesati pur essendoci un luogo principe, il love hotel appunto. Si viene avvolti da una sensazione strana di smarrimento con i protagonisti che ora ci coinvolgono sul piano empatico, ora ci spiazzano per l’ironia sulfurea e asciutta con cui vivono e interiorizzano alcune situazioni. La pellicola comincia in un modo poetico: alla finestra Saya (Maeda Atsuko, ex idol della girl band AKB48) sta provando il suo nuovo brano (tenete a mente quest’immagine perché tornerà, seppur caricata di altri sentimenti). In successione il regista di Vibrator (2003) ci presenta le nostre coppie protagoniste in cui l’elemento femminile è molto importante coerentemente con tutta la sua filmografia se si pensa, per esempio, a It’s Only Talk (2005) in cui una donna bipolare coltivava diverse relazioni senza trovare davvero l’uomo adatto a lei.

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In Tokyo Love Hotel, Ryuichi pone i suoi personaggi nuovamente in una condizione di ricerca, anche se apparentemente sembrano tutti pervasi da un ennui e da un’abitudine a vivere perenne. Il fulcro da cui tutti transitano, seppur per motivi diversi, è un albergo a ore a Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo. Lo spettatore vede passare da lì amanti clandestini, una “criminale” che ha cercato di sopravvivere alla fuga, un’attrice porno, un’escort, un’adolescente quasi completamente “persa”… eppure ognuno di loro riesce ancora a sognare. Il bello di questo film è che riesce a parlare di sfruttamento del corpo della donna e, al contempo, di gesti di amore puro da parte degli uomini. Un minimo comune denominatore tra tutti loro è la paura di affrontare ciò che c’è al di là delle mura del love hotel, condizionati anche da ciò che ha comportato lo tsunami. Ci si ritrova davanti a un affresco vario di ciò che siamo diventati e, in particolare, di ciò che è il Giappone di Shinzō Abe, esponente della corrente più conservatrice del Partito Liberal Democratico (LDP). Il tutto senza scadere in facili sentimentalismi.

Il regista nel film Tokyo Love Hotel fa tesoro del suo background dei pinku eiga (softcore giapponesi) e li cala in un quadro che potrebbe apparire lontano da noi, ma non è così. Non ha paura di far vedere né di sbattere in faccia alcune vicende incredibilmente realistiche e, tanto più nello sguardo giovane e stralunato di Toru (Sometani Shota), molti si riconosceranno. Pensando ai rapporti uomo-donna e al nostro cinema, ci viene in mente un esempio particolare, magari passato un po’ in sordina, ma molto ben recitato da Fausto Cabra e Pia Lanciotti che aveva come location la stanza di un motel. Ci riferiamo a “L’estate d’inverno” di Davide Sibaldi (2010), un dramma da camera in cui a fare la parte del leone era la parola, che prendeva corpo grazie alle interpretazioni perfettamente centrate dei protagonisti e a un montaggio dal ritmo serrato. In questo film, va detto, a tratti l’attenzione cala per via di alcune sequenze lunghe che non riescono a mantenere costante l’impatto emotivo. In altri punti, invece, quest’imperfezione passa in secondo piano per la delicatezza con cui si mettono in scena le conseguenze dell’amore. Un consiglio per la visione? Rimanete fino alla fine dei titoli di coda. Ed ecco il trailer del film Tokyo Love Hotel.

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