Al Cinema Scarlett Johansson con “Under the Skin”

Trama e recensione di “Under the Skin”, dal 28 agosto al Cinema

Una creatura aliena senza nome sguscia sinuosa tra le brume di un paesino scozzese a caccia di prede umane per il proprio sostentamento.

under the skinHa le fattezze morbide, generose, conturbanti di Scarlett Johansson, solo voce suadente in “Her” di Spike Jonze, ora nuovamente corpo voluttuoso e insaziabile prestato alla fantascienza d’autore. Come nel romanzo omonimo di Michel Faber, “Sotto la pelle”, da cui Jonathan Glazer trae il suo film più sperimentale e ardito, l’incipit è in medias res e, nella prima scena, su essenziale sfondo bianco, vediamo Scarlett in versione bruno corvino camuffarsi da umana prendendo il posto di una ragazza riversa a terra. Per tutta la durata del film andrà in cerca di uomini, seducendoli e poi nutrendosene. Uno strano misticismo promana da ogni sequenza e si sprigiona dal corpo inviolato dell’attrice, appetibile involucro stagliato su fondali lattiginosi e immateriali. La scena prodotta da Glazer, antirealistica e antinarrativa, non raccontata e non raccontabile, ambisce ad una completa astrazione, cogliendo il reale dietro le apparenze e riducendo il dionisiaco (rappresentato dalla nudità extraterrestre) alla misura razionale di un apollineo calcolato e calcolabile. L’aliena deve solo procacciare cibo, in un ripetitivo rituale quotidiano, vagando continuamente a bordo di un furgone e ammaliando con conversazioni premeditate e prive di significato ignari passanti sperduti nelle periferie scozzesi. Un “deus ex machina” esangue che annulla la temporalità narrativa (quasi un “missing-time” della casistica ufologica) e la progressione della storia, cullando lo spettatore all’interno di scenari onirici carichi di ipnotismo visivo. Il ritmo è lento, compassato, la staticità della macchina da presa dilata il tempo del racconto e gli squarci naturalistici di acque in piena e boschi selvatici scaturiscono da campi lunghi e piani sequenza immersivi. L’occhio del regista, celebrato autore di videoclip (di gruppi musicali come Massive Attack, Blur, Radiohead) e del non troppo riuscito “Birth-io sono Sean”, indugia su semplici dettagli, lo sguardo della dea-mantide spaziale, il suo iride luminoso (e numinoso, come quello di una divinità totemica), per poi scandagliare, solo in superficie, spazi desolati e uomini ridotti alla mera funzione merceologica.

Film Review Under the Skin

Ogni cosa e persona è fredda, raggelata, senza emozione. L’extraterrestre, in una maniacale coazione a ripetere, compie sempre gli stessi gesti: parla con il malcapitato di turno (parole che suonano a vuoto, indifferenti), lo seduce, lo fa sprofondare in un fondale nero pece, un buco nero (mentale?) in cui la carne gli viene risucchiata via, in mezzo a colate laviche rosso sangue, involucri epiteliali vuoti, soli e supernove esplose. Poi ne cerca un altro, e un altro ancora, finché incontra un uomo solo e deforme per cui, per la prima volta, prova profonda compassione e inizia a concedersi attraverso un “primo contatto” fisico. A questo punto dell’ “art film” il viaggio diventa romanzo di formazione in cui l’estraneo (lo straniero delle stelle) impara l’empatia nei confronti del genere umano, lasciando spazio, forse, per tracce di vero sentimento o per un definitivo oblio. Le metamorfosi corporee care al cinema di Cronenberg lasciano qui il posto al succedersi di “tableaux vivants” immersi in una liquidità amniotica, punto di convergenza tra spirito e materia, natura e cultura. Il film di Glazer è l’onirismo surreale di David Lynch che incontra la filosofia immaginifica di Tarkovskij, in cui ogni elemento desunto dalla singola inquadratura libera un fluire ininterrotto di poesia sensoriale (colori, odori, suoni che sembrano materializzarsi di fronte allo spettatore e prendere vita, senza tuttavia risultare veri). Senza storia, senza frenesia da videoclip, senza bisogno di specificare il dove, il quando, il perché. È video-arte più che film di senso compiuto; contano le immagini, i particolari che spuntano dal dominio scenografico di notturni, fondali immacolati, tinte nere, sulfuree e nebbiose. Un esperimento visivo perturbante e straniante, grazie anche al teso vibrato musicale di Mica Levi e alla fotografia livida di Daniel Landin, premiata al Dublin International Film Fest.

Il Trailer di “Under the Skin”: http://youtu.be/hFwKFO52fyo

 

Vincenzo Palermo

Commenti

commenti

Lascia un commento

Torna in alto