Romeo e Giulietta in stile Proietti piace: ecco perché

In un’intervista di qualche tempo fa per Cultura & Culture, Maurizio Casagrande ci e si chiedeva perché mai certi classici debbano rimanere ammuffiti in epoche lontane dalla nostra e se non fosse possibile scoprire dell’altro all’interno di queste drammaturgie, citando proprio Shakespeare come esempio di teatro popolare di secoli addietro. Con questo fortunato allestimento di Romeo e Giulietta, di nuovo in scena al Silvano Toti Globe Theatre in questa stagione fino al 2 ottobre, la mano fatata di Gigi Proietti (che ha recitato il prologo), regista di un cast straordinario nell’armonia tra giovani e big della scena, fornisce alcune risposte significative. Alzi la mano chi non conosce la storia disgraziata dei due giovani amanti veronesi, tragedia shakespeariana tra le più note al mondo. Lo spettacolo in scena al Globe è l’esempio di come si possa essere leggeri con argomenti che potrebbero rendere pesantissime le tre ore di rappresentazione, se interpretate con la pomposità che ancora qualcuno si ostina a proporre quando si tratta delle opere del Bardo. L’idea di iniziare l’antica faida tra Montecchi e Capuleti con due street gang dei giorni nostri che danno vita ad una furiosa rissa, e con tutti gli altri personaggi in abiti contemporanei, ne sottolinea l’attualità, la distanza intergenerazionale, e a seguire i tanti istanti comici, ironici e satirici nella scrittura del 1596. Poi come per magia, lentamente, quasi senza accorgersene, la scena si tramuta nell’ambientazione originale.

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La magia del teatro sì, ma anche il sogno, figlio “di un cervello che non sa pensare” dice Mercuzio, nipote del Principe di Verona e amico di Romeo. Potrebbe essere un sogno tutta la storia, chissà. E chissà se l’amore è il vero protagonista, o non piuttosto un personaggio apparentemente marginale come appunto Mercuzio, interpretato da un sontuoso Alessandro Averone, che ferito a morte da Tebaldo, cugino di Giulietta, augura la morte alle due famiglie e tramuta la commedia in tragedia. Un personaggio simpatico Mercuzio, guascone e lontano dai miasmi mortiferi dell’amore, intento a godersi la vita che altri gli tolgono per stupidi contrasti familiari. Se fosse lui il vero protagonista, l’occhio di Shakespeare su questa storia? Potremmo parlare ore dello spettacolo rivisto da Proietti, perché vivaddio suscita tante domande se non lo si osserva come una banale storia sentimentale. Sottotesti infiniti, che questa regia riesce a far emergere con l’ironia e quella leggerezza di calviniana accezione, che non è piuma ma volo alto di uccello. Il cast, dicevo, è sorprendente per l’amalgama tra giovanissimi attori come i due amanti, Matteo Vignati – Romeo – e Mimosa Campironi – Giulietta, tanta energia lui quanto deliziosamente e ironicamente delicata lei. Martino Duane, strepitoso, è Padre Capuleti, Gianluigi Fogacci, sempre un piacere vederlo all’opera, è Frate Lorenzo. Citare tutti sarebbe noioso (24 interpreti), ma una nota di merito va senz’altro a Francesca Ciocchetti, la balia di Giulietta, capace di essere convincente sia nei momenti divertenti che in quelli tragici, esaltando il pubblico nei saluti finali, e un’altra al giovane Guglielmo Poggi che da vita a Benvolio, cugino di Romeo, spigliato e drammatico al punto giusto.

Insomma, Romeo e Giulietta in stile Proietti è piaciuto molto, pur sotto il nubifragio che si è abbattuto per quasi tutta la rappresentazione, costringendo alla fuga e al riparo i tanti ragazzi che affollavano il parterre, che non ha copertura. Per uno strano scherzo del meteo (ma sarà davvero un caso o un’altra magia?) la pioggia battente ha accompagnato il secondo atto che si conclude con un tuono artificiale, quanto mai armonico in questa serata da tardo autunno. Vince l’amore sull’odio in Romeo e Giulietta? Le famiglie fanno pace, è vero, ma diversi fiori sono stati strappati alla vita e quel che resta sono adulti che non hanno saputo accompagnare i giovani nei loro turbamenti. 1596 – 2016: non è tanto cambiata la situazione, basta guardarsi attorno. Questo spettacolo, tre ore che volano, lo sottolinea molto bene. Il teatro, quando è fatto da chi lo sa fare, non è mai noioso e suscita domande.

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