Roma, al Globe c’è Lear – La storia: recensione

Tragedia tra le più cupe, senza speranza, quella di King Lear, in scena al Silvano Toti Globe Theatre. Primo spettacolo della tredicesima stagione dello splendido teatro elisabettiano nel cuore di Villa Borghese a Roma che, nell’adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale, prende il titolo di Lear – la storia. In effetti è sì la storia narrata da Shakespeare, lasciata pressoché integrale (per quanto sia possibile, nei limiti di una riduzione) ma anche la storia del delirio di onnipotenza di chi detiene il potere e le sue catastrofiche conseguenze, in ogni epoca. Un Re, convinto che nulla potrà mai intaccare il suo carisma, che scelleratamente decide di dividere il suo Regno tra le tre figlie, come dote per gli imminenti matrimoni, pretendendo dichiarazioni d’amore filiale prima delle assegnazioni. E quell’“amo mio padre solo come una figlia” della giovane Cordelia, dichiarazione candida e sincera, sarà rifiutata e detestata dal Re, ebbro del suo orgoglio delirante, e schernita da chi orbita subdolamente attorno a tale delirio, per sordidi interessi, scatenando l’inferno in terra e tempeste devastanti nelle menti, non solo del Re. Cordelia sarà ripudiata ma presa in sposa dal Re di Francia e fuggirà lontana dal cataclisma che sta per abbattersi su quella casa e quel Regno. Le altre due figlie, grazie alle spropositate dichiarazioni d’amore nei confronti di loro padre, daranno inizio alla demolizione del Re e dell’uomo, fino a ridurlo in pazzia e ad una serie di azioni malvage di cui rimarranno vittime anch’esse, nel loro reciproco omicidio. La vicenda parallela del Conte di Gloucester e dei due figli, l’illegittimo Edmund e il legittimo Edgar, aberrante anch’essa, vedrà il primo ordire inganni tesi a far ripudiare il fratello dal padre, fedelissimo a Lear fino alle estreme conseguenze, e rimanere unico destinatario dei beni.

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Ma come Lear, anche Gloucester è vittima della propria cecità e, come il sovrano, si accorgerà troppo tardi degli errori fatali commessi. C’è salvezza in questo vortice di malvagità? No, ci dice il Bardo, la catarsi è la morte e le poche luci di bene sono spente in un finale tremendo da cui pochi sono esenti. Un nuovo ordine di cui farsi carico resta ai giovani, a cui “non sarà mai dato di vedere, né vivere, altrettanto”. Mariano Rigillo, una vita di teatro, è un Lear stupendo, convincente tanto nell’arroganza quanto nella debolezza del suo personaggio e affronta le oltre tre ore di spettacolo ed un testo tra i più complessi di Shakespeare senza un’incertezza. Mi è piaciuta la scelta del regista di affidare i ruoli delle cattivissime Regana e Goneril, figlie del Re, a due uomini come da tradizione del teatro elisabettiano. Le mie perplessità sono state spazzate via dalla bravura di Luigi Tabita e Roberto Pappalardo, intensi e inquietanti. Sebastiano Tringali bravissimo nel ruolo di Gloucester e Silvia Siravo in quello di Cordelia, di cui riesce a trasmettere la bontà d’animo.

Il perfido Edmund ha il volto di David Coco, grande presenza scenica la sua, e il Matto, personaggio importante e ricorrente nella drammaturgia schakespeariana, è affidato all’eccellente Anna Teresa Rossini. Straordinario Giorgio Musumeci nel doppio ruolo di Edgar/Povero Tom (Edgar esiliato e camuffato da pazzo). Filippo Brazzaventre, Enzo Gambino e Cesare Biondolillo sono rispettivamente Kent, il Duca di Borgogna e il Re di Francia/Oswald, maggiordomo di Goneril. Meravigliosi i costumi di Angela Gallaro e appropriate le musiche di Germano Mazzocchetti. La scelta di lasciare immutato il linguaggio del testo originale, se da una parte è gioia per i puristi, dall’altra non si può negare che contribuisca ad una certa pesantezza dello spettacolo, nonostante movimenti scenici ricercati che coinvolgono in più occasioni il parterre. Ma, d’altronde, stiamo parlando di una tragedia tra le più complesse e tentare riscritture o ammodernamenti è terreno scivoloso. Lear – La Storia è in scena al Globe fino al 3 luglio 2016.

 

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