Rete trasporti, criticità e priorità per il domani

Giancarlo Peazzini
Giancarlo Peazzini

Il vecchio ed annoso problema legato all’inadeguata della rete dei trasporti in Italia ci mette di fronte a criticità difficili da bypassare soprattutto in questo delicato momento storico per l’economia del nostro Paese che avrebbe bisogno di collegamenti più adeguati e veloci. Un gap che rallenta l’economia, blocca la crescita delle imprese e di conseguenza la sviluppo fa fatica a decollare. Un’atavica criticità, che oggi più che mai, diventa di soluzione prioritaria per il domani. Delle cause, degli ostacoli e delle possibili soluzioni ne abbiamo parlato con Giancarlo Perazzini, procuratore e direttore operativo di una delle maggiori imprese di costruzione italiane. La sua lunga esperienza nasce a soli 17 anni quando entra nel mondo delle costruzione, e dopo aver conseguito il diploma, inizia un pero e proprio peregrinare professionale: lo vede per alcuni anni nel profondo sud dell’Italia, poi in Arabia, ed infine, a soli 32 anni, in Camerun. Nell’85, dirige importanti commesse per la costruzione di tratte autostradali, centrali elettriche e aeroporti fino a quando, nel ’91, viene chiamato a dirigere ed ad assumere tutte le commesse del gruppo nel centro nord dell’Italia. Dal 1996 al 1998, fu responsabile dei lavori per la costruzione dell’autostrada tra Meknese e Fes in Marocco. Titolare di importati brevetti, che trovano applicazione nel campo delle costruzioni e delle manutenzioni autostradali, abbiamo chiesto a Perazzini, avendo un quadro globale della complessa situazione italiana, se le cause fossero da attribuire a ragioni oggettive oppure a mancanza di progettualità politica e amministrativa, visto che il problema infrastrutturale  dei trasporti affonda le sue radici in 150 anni di storia patria. « Riferendomi agli ultimi 50-60 anni direi che non si tratta tanto di mancanza di progettualità, quanto di una programmazione che ha tenuto conto esclusivamente della necessità di finanziare il sistema politico con continuità. Non mi spiego diversamente perché le dorsali principali non siano state realizzate, o quanto meno predisposte, per un maggior numero di corsie. Non bisogna essere professori per capire che aggiungere una corsia costa tanto quanto realizzare una autostrada nuova ed a volte pure di più. Ci sono dei casi in cui nella stessa tratta è stata aggiunta una terza corsia negli anni novanta ed una quarta in tempi recenti, con costi allucinanti e disagi indescrivibili per gli utenti».

Il futuro italiano: conservazione e valorizzazione di bellezze paesaggistiche e storiche  o una rete di grandi comunicazioni che potrebbero avvicinare uomini, merci, idee italiane al resto dell’Europa?

«Non vedo perché non si possa intervenire in entrambi i settori, anzi, il potenziamento dell’uno favorirà lo sviluppo dell’altro e viceversa».

Dal Nord al Sud una serie di grandi opere solo sulla carta come la Tav, il ponte sullo Stretto di Messina, l’alta velocità (rimasta incompiuta). L’avvio di questi lavori, e tanti altri minori ma di eguale importanza, sono bloccati per la mancanza di fondi o per le resistenze degli ambientalisti. Una perdita per l’economia a vantaggio o svantaggio di chi?

«Escluderei la mancanza di fondi per due motivi, il primo è che sono rimaste e rimangono al palo anche le opere finanziate o finanziande con capitali privati, il secondo è che potrebbero essere utilizzati i soldi sperperati in casse integrazioni e/o indennità di disoccupazione, poiché la realizzazione di queste grandi opere creerebbe posti di lavoro diretti ed indiretti.  Le ragioni dell’immobilismo che ci caratterizza da oltre 20 anni(le ultime opere significative sono state realizzate con le leggi speciali fatte ad oc per i mondiali del ’90 e le Colombiane del ’92) stanno nella caduta della prima Repubblica e con essa del sistema spartitorio in uso, secondo il quale ogni partito aveva un beneficio proporzionale all’elettorato di cui godeva. In pratica ora le opere non si fanno perché la politica non si trova d’accordo sulle modalità di spartizione, eccezion fatta per le opere in “emergenza e grandi eventi” gestiti direttamente dalla Protezione Civile nel modo che sappiamo. Gli ambientalisti quindi sono solo un paravento, giacché è palese che la ove vi fosse effettiva volontà di fare si sarebbe proceduto, caso contrario i progetti si sarebbero abbandonati».

Opere pubbliche mai compiute, anni ed anni di lavori, progetti che si reggono, anche fisicamente, sulle carte: variante su variante e decenni di attesa, con spese e costi lievitati all’inverosimile. Poca professionalità, incompetenza e burocrazia?

«In passato (anno 2007) sul giornale “L’opinione delle libertà” pubblicai un pezzo dal titolo “Gli eccessi della democrazia”. L’articolo prendeva spunto dalla fotocopia di una lettera del 1933 che mi era capitata tra le mani nella quale un certo Benito Mussolini, rivolgendosi al Prefetto di Genova, così si esprimeva: “Egregio, sono venuto a conoscenza che state studiando un collegamento su rotaia tra Genova e Milano. Reputo che sia più opportuno dare la priorità ad un collegamento su ruota. Ci rifletta e mi riferisca. Diciotto mesi dopo il tratto di camionale Genova-Serravalle Scrivia veniva inaugurato. L’articolo continuava che un elenco di grandi opere il cui iter progettuale ed approvativo era in corso da decenni ed ancora lungi dal concludersi. Veniva quindi facile concludere che la ove c’era una solo persona a decidere, pur con i mezzi limitati dell’epoca, diciotto mesi erano sufficienti per progettare e realizzare un’opera di quella portata(innumerevoli viadotti e gallerie), mentre ai tempi nostri diciotto anni non sono sufficienti per approvare un progetto, con le conseguenze che una volta approvato il progetto non è realizzabile per le variate condizioni normative ed economiche.  Queste lungaggini sono da addebitarsi allo scadimento etico-morale e professionale che ha colpito tanto il settore delle opere pubbliche almeno e di più di ogni altro nell’ambito della società italiana,  ma la causa prima di questo scadimento non è forse la mala politica che ha spinto all’eccesso sulla leva del clientelismo creando uffici su uffici, enti su enti che a nulla servono se non a mettere i bastoni tra le ruote ai pochi che ancora sono animati da spirito propositivo?».

Opere pubbliche tra costi e benefici. In Italia a chi i costi e a chi i benefici.

«Il costo di un’opera pubblica può essere interamente a carico della collettività, oppure può essere realizzata con il concorso parziale o totale di capitali privati(Project Financing). Ovviamente i privati rientreranno dei costi sostenuti gestendo l’opera per un numero di anni congrui rispetto all’entità del finanziamento operato. Per quanto attiene i benefici mi sembra ovvio che questi ricadono sempre sulla collettività, nella forma suggerita dalla natura dell’opera. Ove così non fosse è perché l’opera non serviva, oppure è stata realizzata in un ambito sbagliato».

Quale ricetta possibile per arginare il gap infrastrutturale e di trasporti in Italia. Le prime mosse da fare.

«Per arginare il gap bisogna costruire le opere che servono nei tempi giusti come si fa in tutti i paesi del mondo e per poterlo fare bisognerebbe estromettere completamente la politica dalle scelte prima e dall’iter approvativo e realizzativo poi. Scandali come quelli della Tav in Val  di Susa sono inconcepibili perché delle due l’una, o l’opera serve, e allora va fatta, oppure non serve ed allora bisogna piantarla di sperperare soldi pubblici e di rischiare la vita di onesti ed incolpevoli lavoratori. Il problema serio sta nell’estromettere la politica e nel ridurre la burocrazia a quella strettamente necessaria, ma questo è un problema che riguarda l’intero Paese,  che come ben sappiamo sta appunto morendo sotto il peso della burocrazia».

Jenny Capozzi

Commenti

commenti

Lascia un commento

Torna in alto