Quattro giornalisti italiani bloccati in Siria

250px-Siria-MappaStavano lavorando a un reportage dal titolo “Silenzio, si muore”, commissionato dal programma televisivo di Giovanni Minoli, “La Storia siamo Noi”, ma dal 4 di aprile si sono perse completamente le loro tracce. Raccontare un Paese in guerra, in questo caso civile, è sempre una missione pericolosa, che molte volte mette seriamente a rischio la vita di chi, spinto dalla passione per il suo lavoro, quello del giornalista, decide di mettere al primo posto il desiderio di indagare, di approfondire, di informare.

Ormai la notizia è certa da ieri: sono quattro i giornalisti italiani sequestrati in Siria, poco lontano dal confine con la Turchia. Si tratta di un inviato della Rai, Amedeo Ricucci, e di tre freelance: il fotografo Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la giornalista italo-siriana Susan Dabous.

Insieme, i quattro, stavano portando avanti un progetto sperimentale, come già accennato, per “La Storia siamo Noi”, in sintesi un esperimento di giornalismo partecipativo, che grazie a un collegamento con la scuola bolognese di San Lazzaro di Savena, stava coinvolgendo gli studenti nel lavoro di documentazione sulla situazione siriana.

Tutto bene, quindi, sino a giovedì, quando i quattro inviati non sono riusciti a collegarsi con l’istituto di Bologna per il consueto appuntamento. Di loro, che fino a quel momento avevano optato per il rientro ogni sera in Turchia, si sono quindi perse le tracce. Questo, però, sino alla notizia del sequestro, data nella mattina di ieri, venerdì 5 aprile, da alcuni organi di informazione locali.

Stando a quanto affermato da queste fonti siriane, i quattro italiani sarebbero stati, infatti, fermati nel villaggio di Yaqubiya da alcuni miliziani fondamentalisti. La motivazione riportata sempre dai media siriani sarebbe che i quattro avrebbero ripreso e fotografato alcune postazioni militari sensibili.

Questa, quindi, la ricostruzione ancora vaga dei fatti. Intanto la Farnesina ha confermato il sequestro, affermando di aver seguito la vicenda, su cui chiede il massimo riserbo,  sin dai primi momenti e di aver attivato l’unità di crisi.

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