Intervista a Paolo Simoni: ‘Coraggioso come le rane, umile come un cantautore’

Cantante, arrangiatore, polistrumentista ma, soprattutto, compositore. A soli 29 anni Paolo Simoni ha già collezionato premi e brani di successo, esibizioni sui più importanti palcoscenici (dal Festival di Sanremo all’apertura dei live negli stadi di Ligabue) e collaborazioni con i più grandi artisti del panorama musicale italiano (tra i quali l’indimenticabile Lucio Dalla). Romagnolo doc, innamorato della sua terra d’origine, Paolo ha appena sfornato il terzo disco, “Si narra di rane che hanno visto il mare”, dal quale sono state estratte le hit “Che stress” e “15 agosto”. Lo abbiamo incontrato in un pomeriggio stranamente afoso, per conoscerlo meglio e per farci raccontare ricordi, aspettative e progetti per il futuro.

Il titolo dell’album è una chiara metafora sulla vita. Qual è il suo significato preciso?
La frase è estrapolata da una canzone che amo. Mi è sempre piaciuta l’immagine della rana che cerca di uscire dal proprio stagno per raggiungere il mare. Le rane siamo noi e il mare rappresenta la vita. Serve coraggio per fare il salto.

E tu sei coraggioso?
Non sempre. Forse lo sono diventato negli ultimi anni. Questo mestiere ti costringe a tirare fuori il coraggio in determinate situazioni. Vorrei essere una rana attiva, un ottimo ginnasta per affrontare al meglio le sfide della vita.

Negli ultimi due anni sei cresciuto molto. E questo nuovo disco ne è la prova. Sei d’accordo?
Sì, sento di essere maturato a livello professionale e personale. E’ cambiato l’approccio alla scrittura, alla musica, alle stesse case discografiche. E ho imparato tante cose, soprattutto dalle sconfitte.

Ti riferisci a Sanremo?
Il festival è stato una mezza batosta, dalla quale però mi sono ripreso subito. Sanremo ha un meccanismo strano. Non è facile, per noi giovani, esibirci dopo la mezzanotte e sapere, dopo 15 minuti appena, di essere già stati eliminati. Dietro le quinte ho visto scene pesanti. Ricordo Nardinocchi piegato in due per la tensione e la tristezza. Gli ho detto: “Siamo fuori? E chi se ne frega”. Bisogna prendere le sconfitte come un’occasione di rilancio, cercare di reagire positivamente.

Sei un ottimista di natura?
Certamente. Ho scoperto di esserlo proprio dopo certe cadute. Dopo il festival dello scorso anno mi sono detto: “E ora cosa faccio? Lascio o provo ad andare avanti?”.

E, fortunatamente, sei andato avanti.
Ho scritto decine di nuove canzoni. Ero un fiume in piena. Poi ho cominciato a ragionare sul nuovo album. Dei 40 pezzi composti, ne ho scelti solo nove da inserire nel disco, più altri due brani strumentali aggiunti in un secondo momento. Poche tracce perché tutti i grandi autori che amo hanno realizzato album meravigliosi anche con solo 7-8 brani.

Nel tuo nuovo album alterni brani ironici a pezzi più emotivi e intensi. Penso, ad esempio, a “La sfida del tempo” e “Aldilà”.
Ho lavorato a questo disco come fosse l’ultimo della mia carriera, per dare il meglio di me. E ho inserito, grazie anche alla supervisione e ai consigli del mio produttore, Luca Pernici, e di Claudio Maioli (manager di Ligabue, ndr) le tracce più adatte e che più rappresentano non soltanto il mio modo di essere, ma anche il vissuto della maggior parte delle persone. Tutte le canzoni sono autobiografiche o prendono spunto da personaggi, ricordi, incontri e cose viste durante la mia vita.

Perché hai inserito due brani strumentali?
“Il primo, “P.S. Intro l’amore” introduce la traccia successiva e vuole essere un’operazione di verità. La voce femminile che si sente nel pezzo appartiene a una ragazza brasiliana (moglie di Pernici, ndr) che lancia un messaggio bellissimo. “P.S. Echi di Romagna in festa”, invece, chiude una parte del disco e include registrazioni che ho fatto con lo smartphone durante una giornata al mare, tra gabbiani e vecchietti romagnoli.

E poi c’è “A Montreaux”, un omaggio al grande Lucio Dalla.
Ricordo di aver scritto il testo in pochi minuti, di sera, poche settimane dopo la morte di Lucio. La sua scomparsa mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Una profonda tristezza. Stavamo lavorando insieme in quel periodo, avevamo progetti in cantiere.

Cosa ti ha lasciato? Quale suo insegnamento o consiglio porti nel cuore?
Mi ha insegnato ad essere umile e ad avere sempre massimo rispetto per le persone che ascoltano i tuoi brani. Un cantautore deve avere la percezione degli altri e raccontare, con sensibilità ma anche lucidità, il proprio vissuto. Un artista deve scrivere per gli altri, non per se stesso. Da quel giorno, dopo le sue parole, ho cambiato il mio modo di comporre. Per anni sono stato a stretto contatto con importanti cantautori che mi hanno sempre detto l’esatto contrario, peccando di arroganza e di presunzione. Lucio, invece, mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto capire che dobbiamo esser servi di chi ci ascolta.

Perdonami se torno a parlarti di Sanremo, ma pensi di riprovare?
Bisogna vedere se mi vogliono! (ride, ndr). Prima di tutto bisogna avere la canzone adatta al festival e io di pezzi nel cassetto ne ho davvero tanti. Chissà. Come ho già detto, Sanremo è una giostra tragicomica, in cui vieni spesso tartassato. In generale, trovo che la moda delle gare tra cantanti sia odiosa. Se vuoi fare musica ti offrono solo talent e televisione. Tutto si basa sull’immagine. Un cantante ha sempre meno tempo per esibirsi, talvolta è costretto anche a cantare pezzi non suoi e che nemmeno ama.

Ti sono arrivate proposte del genere?
Una marea! Mi hanno proposto di tutto, dai talent ai reality più assurdi. Io sono anche cuoco, quindi mi è stato chiesto perfino di andare in televisione e di cucinare. Dobbiamo tornare all’essenza della musica e della scrittura. A riemozionarci. Io non potrei mai cantare cose altrui, raccontare storie che non ho vissuto sulla mia pelle. Non sono, e non sarò mai, un interprete.

Terminata la promozione del disco, partirà un tour?
Ci stiamo lavorando. In questo periodo sono in giro per piazze e festival di tutta Italia. In autunno partirà sicuramente un tour. Abbiamo già ricevuto parecchie richieste. Voglio tornare a suonare in locali piccoli, stare a stretto contatto col pubblico, guardare le persone negli occhi e percepirne emozioni e umori. Farò alcune date solo voce e piano, in situazioni più intime, poi mi esibirò con la band, in diversi paesi e città.

Silvia Marchetti

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