OBAMA SI AGGIUDICA IL TERZO CONFRONTO

Un fermo immagine del terzo confronto tv

Con un sonoro 2-1 Barack Obama vince le sfide televisive preelettorali e sale nei sondaggi. Un ottimo risultato per il presidente in carica che, dopo lo scivolone del primo confronto, lasciato allo sfidate Mitt Romney, rialza la testa e vince due dibattiti consecutivi. Sulla politica estera si dimostra esperto e sicuro di sé. Vivace, reattivo, spesso aggressivo, vince il terzo e ultimo dibattito tv stracciando il rivale 48 a 40 per la Cnn, 53 a 23 per la Cbs fin troppo generosa. Questi i dati dei sondaggi diffusi dopo il confronto di Boca Raton, Florida.

L’argomento della serata è la politica internazionale, cavallo di battaglia di Obama, terreno minato per Romney che cerca sempre di riportare il discorso su temi a lui più congeniali come l’economia e la disoccupazione. Anche stavolta, il presidente infila una battuta dopo l’altra per mettere in difficoltà lo sfidante, senza mai affondare il colpo definitivo. Rivolgendosi a Romeny, ricorda che «le nostre Forze Armate sono cambiate. Abbiamo queste cose chiamate portaerei dove possono atterrarci gli aerei: abbiamo anche queste navi che vanno sott’acqua: i sottomarini nucleari…».

Ma l’avversario non ci sta a fare la parte del vecchio, anzi si rivolge al Paese pieno di speranza nel futuro e dichiara di non volere più guerre. «Io voglio vedere questo paese crescere in pace», dice smentendo, di nuovo, dichiarazioni rilasciate in passato che andavano esattamente nel senso opposto. Due, secondo Romney, i problemi degli Stati Uniti: «Uno è quello rappresentato dal presidente che ci vuole portare a fare la fine della Grecia». L’altro è la disoccupazione per cui il candidato repubblicano avrebbe già la soluzione. «Riporterò la gente al lavoro con 12 milioni di nuovi posti», ha ribadito Romney, senza mai spiegare concretamente come pensa di riuscirci.

Nel dibattito che doveva essere dedicato alla politica estera si torna a parlare dei nemici interni. Ma Obama riporta la discussione sui temi centrali sottolineando i numerosi voltafaccia dello sfidante: dalla Libia all’Afghanistan, dall’Iran alla Siria fino al Mali. «Quello di cui ha bisogno l’America è una leadership forte e ferma», dice Obama che si sente perfettamente a suo agio nel ruolo di capitano, quello che non attacca la Cina perché la vede come «potenziale partener», ma attacca il suo sfidante che non è in grado di presentare un programma serio e dettagliato, a differenza del presidente che invece ha le idee molto chiare.

I due si stimolano a vicenda cercando il punto debole dell’altro, ma Obama non cade né sulla Siria né su Israele. «La prima cosa da fare è agire di concerto con i nostri alleati – e il primo è Israele», dice il presidente che viene accusato da Romney di aver reso gli aytollah più vicino alla bomba in Iran. I due sono concordi nel lasciare l’Afghanistan nel 2014 e sull’uso dei droni ma litigano sulla Siria. Romney spinge per armare i ribelli e Obama dice che c’è il rischio che le armi finiscano nei mani dei terroristi. Ma neppure qui ci sono le scintille che ci si aspettava alla vigilia. Il confronto è vinto da Obama ma lo scarto è minimo, una percentuale bassa che però potrebbe fare la differenza alle urne.

Piera Vincenti

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