Il terrorismo islamico dall’11 settembre 2001 a oggi

Gli attentati di Parigi sono gli eventi più recenti che hanno scosso l’umanità intera. I luoghi pubblici colpiti sono gli ultimi bersagli di una lunga, triste serie che ha fatto migliaia di vittime innocenti. Accade spesso ed è accaduto anche nel caso della capitale francese che, con il passare dei mesi, il ricordo collettivo delle stragi, pur rimanendo impresso nella memoria, procuri meno dolore e meno paura (benché sia già stato chiarito, è meglio precisare ulteriormente che non parliamo del dolore personale, percezione che varia da individuo a individuo e tantomeno di quello, straziante, duraturo spesso quanto la stessa vita di chi lo prova, che affligge i parenti e gli amici delle vittime).

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Ciò che, in apparenza, può sembrare assuefazione al terrore, ma è quanto di più lontano possa esistere da essa, si chiama, invece, istinto di sopravvivenza. La mente, detta in maniera molto semplice, tende a ripristinare lo stato psicologico precedente al fatto traumatico e solo per difendersi, per proteggersi da questo (accade anche con gli eventi felici, per esempio un bel voto a scuola, la vincita alla lotteria, ma lì ci sono motivazioni diverse). Anche per questo motivo gli ultimi attentati del 13 novembre a Parigi hanno colto tutti di sorpresa; certo, l’intelligence francese, come quella degli altri Paesi, lavora da anni alla piaga del terrorismo, gli analisti politici sanno da tanto tempo che il pericolo c’è ed è a un livello molto alto, così come le persone che nulla hanno a che fare con la politica, i servizi segreti e ambiti di questo genere hanno la consapevolezza del rischio. Nonostante questo cerchiamo sempre di respingere la possibilità che l’orrore possa accadere davvero e, in effetti, i terroristi cercando di colpire sfruttando il fattore dell’imprevedibilità, dell’ignoto che ci piomba addosso, lasciandoci impotenti.

Guardiamo alla storia degli ultimi quattordici anni, cioè dall’11 settembre 2001; l’escalation terroristica di matrice islamica è drammatica e, a ben pensarci, non si è mai interrotta, né ha mostrato segni di cedimento. L’Isis, in un certo senso, è proprio il prodotto di questa ascesa; possono cambiare alcune delle motivazioni di base, i metodi di reclutamento, le armi utilizzate, ma il nucleo di odio e di sopraffazione rimane. Torniamo con la memoria al passato, a quegli eventi che ci hanno già sconvolto la vita e vediamo di riuscire a trarre degli elementi comuni L’11 settembre 2001 è entrato nella Storia dell’umanità e a nulla servono fantasiose teorie complottistiche di fronte all’ecatombe di morti e feriti: due aerei si schiantano contro le Torri Gemelle, il celebre World Trade Center di New York, un altro colpisce il Pentagono a Washington, un quarto cade in Pennsylvania, poiché l’equipaggio e i passeggeri riuscirono, sottraendolo al controllo dei dirottatori, a evitare che colpisse il vero bersaglio, il Campidoglio a Washington. Il bilancio è durissimo; circa 3000 morti, più di 6000 feriti e un nemico da stanare, Osama bin Laden. Questo fu l’inizio, la data dopo la quale il mondo cambiò e anche la nostra percezione dell’estremismo islamico e del suo reale potere.

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12 ottobre 2002: a Kuta, sull’isola di Bali, tre bombe, di cui una è un’autobomba, vengono fatte esplodere nel Paddy’s Club, al di fuori del Sari Club e davanti al consolato degli Stati Uniti a Denpasar, tutti luoghi frequentati da turisti occidentali. La responsabilità delle 202 vittime e dei 209 feriti viene fin da subito attribuita alla Jemaah islamiyya, a quanto pare collegata ad al Qaida. 11 marzo 2004: Madrid è sconvolta da un attacco terroristico rivendicato da al Qaida: dieci zaini imbottiti di esplosivo vengono fatti esplodere su quattro treni presenti in diverse stazioni, Atocha, El Pozo, Santa Eugenia e presso via Tellez. 192 vittime e 2057 feriti. In questo caso ci sono, fin da subito, due ipotesi sulla responsabilità: l’ETA e la matrice islamica. La rivendicazione, però, non lascia spazio a ulteriori dubbi. 7 luglio 2005: nella metropolitana di Londra, durante l’ora di punta, vengono colpiti tre treni, uno in transito tra Liverpool Street e Aldgate, il secondo in direzione della stazione di Paddington, il terzo tra King’s Cross St. Pancras e Russell Square e, successivamente, nemmeno un’ora dopo, un autobus a Tavistock Square. L’attentato, rivendicato da al Qaida ha provicato 56 morti e circa 700 feriti.

26-29 novembre 2008: in India, a Mumbai, dieci membri del gruppo fondamentalista islamico Lashkar-e-Taiba, tiene in scacco la città con 12 diversi attacchi, in special modo nel sud della città, ad alberghi, ristoranti, un centro ebraico, in un teatro e in altri diversi luoghi frequentati anche da turisti. Rimangono uccise circa 166 persone e ferite circa 600. In Kenya dobbiamo ricordare due attentati di inaudita violenza: il primo accade dal 21 al 24 settembre 2013, quando gli estremisti islamici di al-Shabaab provocano 71 morti e 175 feriti in una sparatoria con fucili AK-47 nel centro commerciale Westgate di Nairobi, luogo frequentatissimo tanto da residenti quanto da turisti. La rivendicazione pone, come motivo scatenante, l’operazione Linda Nchi in Somalia, ovvero l’operazione coordinata dall’Esercito nazionale somalo, le Forze di difesa del Kenya, le Forze di difesa d’Etiopia, con l’appoggio di Francia e Stati Uniti, contro al-Shabaab.

Il secondo attentato in Kenya risale, invece, al 2 aprile 2015, dunque è recentissimo, quando vengono uccise, ancora da un commando di al-Shabaab, 147 persone in un campus universitario a Garissa, nella zona Nord-Est del Kenya. Ci sono state sparatorie, decapitazioni e anche esplosioni, mentre i terroristi chiedevano ai loro ostaggi quale fosse il loro credo. I giorni dal 7 al 9 gennaio 2015, con l’assalto alla redazione della rivista satirica Charlie Hebdo, i 20 morti, (12 i vignettisti), l’attacco al supermercato kosher, la vittima di Montrouge sono ancora intrisi di dolore nella nostra memoria; così come l’attentato del 18 marzo, anche questo, come accaduto in Francia, rivendicato dall’Isis, al Museo del Bardo, che ha fatto 24 vittime e 45 feriti, o la sparatoria del 26 giugno sulla spiaggia di Sousse, ancora in Tunisia, costata la vita a 39 persone.

Non possiamo e non dobbiamo dimenticare nemmeno le 102 vittime e i circa 500 feriti della stazione ferroviaria di Ankara, lo scorso 10 ottobre, ancora per mano dell’Isis, e la strage dell’airbus russo in Egitto, in cui sono morti tutti, passeggeri ed equipaggio, ben 224 persone e, pare, proprio a causa di una bomba forse piazzata sull’aereo da membri dell’Isis. L’ultimo agguato, proprio pochi giorni fa, il 12 novembre in Libano, contro Hezbollah, nella parte Sud di Beirut: 44 morti e, di nuovo, l’ombra del califfo al-Baghdadi. In questo triste elenco vanno menzionati anche due terrificanti eventi, l’assedio del teatro Dubrovka, a Mosca, avvenuto tra il 23 e il 26 ottobre 2002, che è costato la vita a 129 ostaggi e il ferimento di oltre 700 e la strage della scuola di Beslan, (1-3 settembre 2004) in Ossezia del Nord, che conta 333 morti (186 minori) e oltre 800 feriti.

In questi ultimi due casi la rivendicazione è di matrice cecena, (forse, nel caso di Beslan, c’è un legame con al-Qaida), dunque parliamo delle vedove nere e dell’indipendentismo ceceno. Potrà sembrare un argomento più marginale e particolare, con ragioni diverse alla base, soprattutto le guerre in Cecenia, ma dobbiamo tenere conto del fatto che l’Islam radicale è, per questi terroristi, una sorta di emblema da ostentare contro i russi e, di rimando, tutto l’Occidente. In conclusione, abbiamo potuto constatare che molti terroristi studiano nei nostri Paesi (ricordate i dirottatori dell’11 settembre), per poi usare la conoscenza e la tecnologia occidentale contro l’Occidente stesso. Le vittime sono sempre state di diverse nazionalità e religioni, anche musulmane, allo stesso modo in cui gli attentatori o, comunque, i loro fiancheggiatori possono essere foreign fighters convertiti. Non esiste pietà neppure per i bambini: l’intento del terrorista è quello di interrompere il normale corso della quotidianità con la paura e la violenza, impedirci di vivere come abbiamo sempre fatto, colpendoci nelle azioni più banali o spensierate (pensate al fatto di andare in un centro commerciale, o a vedere una rappresentazione teatrale, per esempio).

Tornare a un’esistenza normale, in gesto di sfida o, comunque, per reclamare i diritti che ci appartengono e l’essenza stessa della nostra identità è possibile solo a patto di intervenire concretamente e in modo deciso contro il terrorismo. Non possiamo più aspettare, né tergiversare: è il momento di riflettere con la testa (non con la pancia) e di agire con una strategia comune che non rappresenti gli interessi politici ed economici di pochi, ma quelli universali di tutta l’umanità, ovvero i diritti fondamentali che devono avanzare verso il futuro e non retrocedere dietro alla paura, alla violenza, all’odio, al buonismo e alla pigrizia intellettuale.

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