Giorgio Gallione: «Ecco com’è nato Father and son»

Il suo legame professionale con Claudio Bisio dura da circa un ventennio. Giorgio Gallione, apprezzato regista e drammaturgo è al fianco di Bisio anche in “Father and son” che è stato messo in scena al Teatro delle Celebrazioni di Bologna. Come avvenuto in altre città anche a sotto le Due Torri, il lavoro scritto da Michele Serra è stato un grande successo di pubblico e di critica. In questo periodo “Father and son” è in tour in Veneto (Vincenza dal 13 al 17 gennaio), (Padova dal 20 al 24 gennaio), (Biella dal 26 al 28 gennaio). Abbiamo intervistato il regista per voi.

Giorgio Gallione, dopo il 13 novembre tutti viviamo sicuramente dei giorni difficili. Con che spirito si prepara un lavoro del genere?
Sono momenti particolari, soprattutto come cittadino più che come artista o uomo di teatro. La vita è anche fuori e comunque non esasperei il discorso legato al teatro. Certo, i luoghi di incontro, dove la comunità si confronta e dove si diverte e fa cultura, sono luoghi per certi aspetti pericolosi ma noi dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro convinti di quello che stiamo facendo.

“Father & son” è il titolo di una canzone commovente ma quanto si vede a teatro è capace di commuovere?
Noi lo speriamo, lo spettacolo è figlio di un testo estremamente variegato scritto da Michele Serra . E’ un gioco bizzarro e talvolta apparentemente contraddittorio che si muove su tanti livelli: la commozione è uno di questi, perché commuoversi è guardare un figlio che cresce, passare il testimone idealmente da padre a figlio verso una nuova vita che sboccia. Sono degli elementi che qualsiasi genitore vive con commozione ma anche con ansia, felicità e magari con ironia.

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E’ il suo settimo spettacolo con Bisio, ormai un legame più che mai collaudato…
Sì, assolutamente! E’ dal ’97 che lavoriamo insieme. Abbiamo iniziato con uno spettacolo che ha tante assonanze con “Father and son”, vale a dire “Monsieur Malaussène” di Daniel Pennac, anche lì si toccava il tema della paternità. In quel caso Malaussène parlava all’ecografia del figlio e questo era il gioco surreale, paradossale e anche commovente, perché un giovane uomo che stava per diventare padre è come se mettesse in guardia il figlio dei pericoli del mondo. Da lì in poi il tema del rapporto tra padre e figlio lo abbiamo toccato con un altro spettacolo alcuni anni dopo dal titolo “I bambini sono di sinistra”, per poi iniziare a collaborare in modo continuativo con Michele Serra. Quando abbiamo iniziato a pensare a uno spettacolo nuovo e si voleva idealmente fare una terza tappa, sempre su questo tema, Michele ci ha detto che stava scrivendo qualcosa sull’argomento, così abbiamo aspettato le bozze del libro e una volta letto in anteprima abbiamo capito che quella era la strada per il terzo spettacolo. La collaborazione tra me e Claudio è ormai maggiorenne, parliamo di diciotto o vent’anni di attività insieme.

Nel tempo in che modo è cambiato il rapporto tra genitori e figli?
Un po’ come lo raccontano tutti: dal padre padrone che noi abbiamo un pochettino conosciuto, vale a dire da un genitore che voleva essere autorevole ma sicuramente cercava anche di essere autoritario, siamo passati attraverso la nostra generazione che questo tipo di potere lo ha conosciuto ma non ha voluto frequentarlo e il tutto è detto molto chiaramente nel libro di Michele. Sia io che Claudio abbiamo figli intorno ai vent’anni, per cui la nostra biografia è andata di pari passo con gli spettacoli legati al rapporto tra padri e figli e ci troviamo come dei papà che vorrebbero essere amici dei figli anche se si sa benissimo che è sbagliato perché sociologi e psicologi ci dicono che dobbiamo rappresentare una guida e non un conforto. Avremmo voluto che l’educazione passasse attraverso un contagio democratico e non attraverso delle imposizioni ma soprattutto perché, forse per pigrizia o forse per codardia, non vogliamo scontrarci coi nostri figli.

Nello spettacolo quanto c’è dell’esperienza di padre di Bisio?
Tantissimo ma anche dell’esperienza di Serra. Siamo tre uomini più o meno della stessa età che hanno fatto figli non propri giovanissimi. Tutti e tre vediamo i nostri figli ventenni e ci stupiamo del fatto che in fondo il dialogo lo rifiutino pur avendo un rapporto cordiale, carino e sano. I nostri ragazzi a un certo punto decidono di non usarci più, di andare per la propria strada. Ci sono alcune parti molto significative a questo proposito nel copione. Insomma ci stupiamo se loro riescono a camminare perfettamente con le loro gambe in modo ancora più veloce e più efficace di noi. Questa è la natura perché noi dobbiamo diventare felicemente vecchi e il futuro è in mano ai ventenni che mettono altri abiti sotto tutti i punti di vista.

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Qual è il valore aggiunto di Bisio come attore in questo spettacolo?
Lui nasce in palcoscenico e al palcoscenico ritorna con grande proprietà, con grande entusiasmo. Il pubblico è abituato a conoscerlo dietro altre facce, dietro altri aspetti però lui è soprattutto un grande attore. Qualcuno è stupito del fatto che Claudio abbia questa proprietà sul palcoscenico, abbia questo talento, questa naturalezza ma lui come tutti i grandi attori sa toccare tutte le corde dell’emozione e questo è un lavoro che gli permette di farlo anche se all’interno di una costrizione giocosa, ironica perché è soprattutto uno spettacolo dove i padri si leggono e si confessano con autoironia più che a un’accusa alle giovani generazioni.

Qual è la reazione del pubblico che assiste a “Father and son”?
Di empatia, di partecipazione, perché è un tema che direttamente o indirettamente ci tocca tutti. Alcune volte rimanendo in mezzo al pubblico sento coppie che dicono «Vedi è lui, parla di lui» o alcune coppie che alla fine dicono «mio figlio è identico».

Lo spettacolo a Bologna ha coinciso con la riapertura del Teatro delle Celebrazioni, un buon segno…
Siamo felici e orgogliosi! Naturalmente per dei teatranti una cosa di questo tipo è fondamentale. In un momento in cui la cultura è così in difficoltà o in trasformazione, aprire un teatro è un sorriso, una speranza, un’ancora di salvezza.

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