Chinatown, la recensione del film con Jack Nicholson

chinatown“Lascia perdere Jack, questa è Chinatown”: un mondo senza regole, dove le poche che resistono sono legate a doppio filo da corruzione e interessi personali. Cosa fare quando nello stato di natura brutalizzato dell’ “homo homini lupus” il deus ex machina è un “cane padrone” incestuoso e tiranno? Jack Gitter, detective “chandleriano” col ghigno diabolico del miglior Jack Nicholson, non esita a sporcarsi le mani in un’ inchiesta-verità rischiosa, in cui mette in gioco se stesso contro un crimine dilagante. Ingaggiato da Evelyn Mulwray per scoprire i tradimenti del marito, rimane invischiato in una cospirazione le cui fila sono tirate da Noah Cross, facoltoso patriarca che investe denaro sporco per la costruzione di un lago artificiale. Prima di scoprire le losche trame ordite dal capofamiglia (John Huston, il regista di “The Maltese Falcon”), le indagini di Gitter si scontrano con le resistenze omertose dei cittadini, portando gradualmente alla luce un crudele mosaico familiare e l’anarchia di un paese senza redenzione. Torna al cinema il 26 maggio il primo film americano di Roman Polanski girato nel 1974, superba e perversa revisione del noir classico, con l’algida Faye Dunaway e John Huston. CHINATOWN-007Ambientato nella Los Angeles del 1937, il film ebbe un enorme successo di pubblico e riscrisse il genere poliziesco ancorandosi a due filoni tematici: il giallo enigmatico, in cui l’indagine razionale si compone di indizi e prove che conducono al rigore analitico dell’inchiesta, e il noir classico, epica di detective privati, anti eroi e fatali dark lady. Partendo dalla sceneggiatura di Robert Towne, Polanski realizza il capolavoro della maturità artistica, a pochi anni di distanza dall’omicidio della moglie Sharon Tate e a due anni da “What?”, surreale e grottesca commedia. Monumento ai vecchi film anni ’40, “Chinatown” attualizza un genere nato all’interno del cinema narrativo classico (quello americano tra l’inizio degli anni 40 e la fine del 1950), senza risparmiare umorismo nero e una “lectio magistralis” che racchiude le inquietudini della poetica polanskiana: lacerazioni dell’individuo, banalità del male, follia e irrazionalità. La Chinatown violenta, fotografata in un gioco di chiaroscuri e contrasti luministici, è un covo infestato di malavitosi, ma anche spazio in cui si materializzano stagnanti “memorie dal sottosuolo”. L’acqua, asservita alle macchinazioni politiche di Cross, travolge come un fiume in piena l’occhio scrupoloso del “private eye” Nicholson, costringendolo ad abbattere ogni barriera che lo frappone alla ricerca della verità. Una pietra miliare candidato a undici premi Oscar.

 

Vincenzo Palermo

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