CHIAMAMI PER NOME, SARO` IL TUO FARMACO

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Il 57,6 per cento degli italiani riconosce i farmaci che assume dal nome commerciale, il 7,6 per cento tramite il nome del principio attivo e quasi il 35 per cento attraverso entrambi. A identificare di più il farmaco grazie al nome commerciale sono i giovani (68,5 per cento), gli anziani (64,9 per cento), i residenti al Nord-Est (61,6 per cento), gli uomini (59,6 per cento) e le persone con un pessimo stato di salute (64,7 per cento). È quanto emerge da una ricerca del Censis realizzata per Farmindustria sull’impatto della prescrizione con principio attivo sulla qualità delle cure. I cittadini associano farmaco e nome commerciale, facendo di quest’ultimo il principale fattore identificativo, pur nella consapevolezza che esistono altri medicinali equivalenti, magari con un costo inferiore. Sono più informati sull’esistenza di farmaci equivalenti gli anziani (il 78 per cento ne è a conoscenza) dei giovani (59,1 per cento), i residenti al Centro (77,2 per cento) rispetto a quelli del Sud (74,5 per cento).

Se il nome commerciale del farmaco identifica il proprio medicinale non sorprende che una quota elevata di cittadini sia pronta a pagare di più per averlo. Quasi il 45 per cento degli italiani dichiara che nell’ultimo anno gli è capitato di pagare una differenza di tasca propria per avere un farmaco di marca piuttosto che quello fornito dal Servizio sanitario con lo stesso principio attivo ma a un costo inferiore. Ad averlo fatto sono soprattutto gli anziani (oltre il 54 per cento), le donne (quasi il 49 per cento) e più ancora le persone con un pessimo stato di salute (il 70,6 per cento).

Proprio l’identificazione del farmaco con il nome commerciale spiega perché si genera disagio nei cittadini se cambiano aspetti del farmaco assunto abitualmente relativi al nome (73 per cento), alla confezione (oltre il 57 per cento), al colore (54,2 per cento) e alla forma della compressa (50,7 per cento). Il disagio per l’eventuale cambiamento del nome è più forte tra gli anziani (oltre il 79 per cento), gli uomini (oltre il 73 per cento) e le persone con un pessimo stato di salute (quasi il 71 per cento).

Alto è anche il rischio di confusione, in particolare per gli anziani. Il 30 per cento degli italiani dichiara che si potrebbe confondere se il farmacista gli consegnasse un medicinale contenente lo stesso principio attivo di quello che prende solitamente ma con una confezione diversa o un nome differente. Il rischio di confusione è molto più alto tra gli anziani (oltre il 39 per cento) e le donne (quasi il 28 per cento): si tratta di un’area vasta e con una consuetudine di rapporto con i farmaci anche quotidiana.

E se un cambiamento del farmaco deve esserci, il medico è il solo garante. In caso di sostituzione per ragioni economiche di un farmaco normalmente utilizzato, il 61 per cento dei cittadini dichiara che non gli provoca disturbo se è il medico a farlo, il 16,6 per cento se è il farmacista, mentre più del 22 per cento è contrario (6,9 per cento) oppure infastidito (15,5 per cento). Ferma restando la centralità della fiducia nel medico per tutti i cittadini, si constata una maggiore avversità al cambiamento del farmaco per ragioni economiche da parte degli anziani (quasi il 28 per cento è contrario o ne è disturbato), delle donne (oltre il 25 per cento) e delle persone con un pessimo stato di salute (oltre il 29 per cento).

Il 77,4 per cento dichiara di essere a conoscenza delle nuove norme sulle prescrizioni, del fatto cioè che il medico di medicina generale deve indicare sulla ricetta il nome del principio attivo. Quasi il 63 per cento è a conoscenza del fatto che, in caso di patologia cronica per la quale il paziente era già in cura al momento dell’entrata in vigore della norma, il medico può continuare a prescrivere il farmaco con il nome commerciale che prescriveva in precedenza. E sono più informati gli anziani rispetto ai giovani, le donne rispetto agli uomini. Il 66,7 per cento dichiara di aver già sperimentato la modalità della prescrizione con principio attivo. Di questi, il 19,9 per cento per una nuova patologia, l’80,4 per cento per patologie per le quali erano già in cura.

Secondo i cittadini, attualmente c’è troppa pressione economica sulle scelte prescrittive a causa delle manovre di bilancio pubblico e dell’entrata in vigore delle nuove norme. Oltre il 47 per cento degli italiani ritiene che ci sia stato un aumento del peso del fattore economico sull’attività prescrittiva dei medici negli ultimi dodici-diciotto mesi, il 36,4 per cento ritiene che sia rimasto inalterato, il 6,2 per cento che sia diminuito, mentre il 10 per cento non ha opinioni al riguardo. D’altro canto, per il 77% le esigenze di ridurre la spesa pubblica per i farmaci pesano molto o abbastanza sull’attività prescrittiva e oltre il 61% registra un aumento della spesa di tasca propria per l’acquisto di farmaci. Emerge evidente nella percezione collettiva che c’è una pressione dall’alto per tagliare la spesa pubblica che condiziona medici, pazienti e rischia di incidere sulla qualità delle prescrizioni. Ma gli interventi sulle modalità di prescrizione e di accesso ai farmaci cozzano con la personalizzazione del rapporto dei cittadini con il farmaco, che passa anche per la consuetudine, spesso quotidiana, a prendere un determinato farmaco reso riconoscibile da nome commerciale, confezione, forma e colore del medicinale stesso.

 

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