Caparezza, l’instancabile paroliere accende il City Sound

Arte, musica, ironia e divertimento. Caparezza dipinge un vero e proprio capolavoro per il City Sound di Milano. Il concerto dell’artista pugliese, andato in scena ieri sera all’Ippodromo del Galoppo, è una galleria di opere sublimi, una danza tragicomica di note e versi, impreziosita da un pubblico caloroso e partecipe. Capa ha acceso il festival cantando e ballando sul palco, proponendo i brani del suo ultimo album, Museica, ma anche i successi che hanno segnato la sua brillante carriera.

Uno show a 360 gradi, durante il quale il cantautore ha mostrato tutte le sfumature che compongono la sua personalità e l’indiscussa genialità. Partecipare ad un live di Caparezza è come salire sulle montagne russe e godersi, a 300 chilometri orari, il panorama della vita, con tutti i colori e le bellezze che lo rendono unico ma anche con le amarezze e le tragiche certezze che comporta. L’energia che sprigiona ogni sua performance è micidiale: impossibile non rimanere investiti e affascinati dal talento di questo straordinario giullare, instancabile paroliere che, con coraggio, osa e prende per il collo la verità per criticare tutto ciò che ha portato e porta il nostro Paese allo sfascio più totale. Senza peli sulla lingua (ma tanti in testa), Caparezza si traveste (talvolta è vestito da Matrioska, altre volte da Diavolo o da Tartaruga Ninja) e gioca con i suoi compagni d’avventura, musicisti e pubblico. Una festa di luci e di immagini, per raccontare l’amara realtà senza mai perdere il sorriso e la gioia di vivere.

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Il museo più bizzarro del mondo apre le sue porte alle 21.30 circa. Migliaia di persone attendono di poter ammirare le opere esposte. Il padrone di casa nonché autore dei quadri si presenta subito con un pezzo da 90: “Avrai ragione tu”, brano che punta il dito contro la classe politica che ha rubato risorse e speranze agli italiani. La visita nella galleria di Museica prosegue con “Dalla parte del Toro” e “Mica Van Gogh”, omaggio all’artista olandese, tra cappelli gialli, girasoli giganti e, soprattutto, Guernica, a simboleggiare la tragedia del momento in cui purtroppo viviamo.

Vestito con una lunga tunica color arancio, Capa mostra tutta la sua folle ironia intonando “Sfogati” per poi pungere, come solo lui sa fare, con una canzone di qualche anno fa ma decisamente molto attuale: “Legalize the Premier”, che lui avrebbe voluto come inno degli Azzurri ai Mondiali di Calcio 2014. Di tutt’altro genere la messa in scena di “Giotto beat”, in perfetto clima e stile anni Sessanta. A bordo di una Lambretta, Capa si diverte a percorrere strade immaginarie, in un percorso a ritroso, ricordando le cose belle di quell’epoca, la speranza e la vitalità di quegli anni, consapevole della mancanza di prospettive dei tempi moderni.

“La mia parte intollerante”, brano del 2006, fa esplodere l’Ippodromo, così come il più recente “Teste di Modì”, che racconta una storia di 30 anni fa, un clamoroso errore di valutazione che ha riguardato opere rinvenute da alcuni ragazzi e spacciate per sculture di Amedeo Modigliani. Altro tuffo nel passato con “Abiura di me”, datato 2008, che fa emergere ancor più la parte “cattiva” di Caparezza, le cui parole sono lame che tagliano più di coltelli affilati: “Io faccio politica pure quando respiro. Mica scrivo musica giocando a Guitar Hero. Questi argomenti mi fanno sentire vivo in mezzo a troppi zombie di Resident Evil”. Graffia e spiazza, Capa, tra rime che ricamano sottili accuse e versi che schiaffeggiano senza pietà. E’ in completo disaccordo col mondo, a disagio anche con quelle opere incompiute, mai terminate (“Canzone a metà”).

Cambio di location. Tuffo nel mare del deserto. Sole, cactus, scorpioni. Il palco si colora di tonalità calde, tutto è pronto per un viaggio trascendentale: “Siete mai usciti dal vostro corpo?” chiede il cantante di Molfetta, alle prese con uno strano stregone, prima di far partire “Cover”. E poi spazio a “Non siete stato voi”, alla rabbia e all’indignazione, tra le fiamme del dramma e le lacrime di un violoncello che intensifica il disprezzo per chi ha “trascinato la nazione dentro il buio ma si diverte a fare il luminario”. Dopo “China Town”, più leggera e spensierata (si fa per dire), ecco “Vengo dalla luna”, che Capa fa cantare quais interamente al pubblico adorante, mentre immagini di opere di Magritte scorrono alle sue spalle.

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Instancabile, quasi tarantolato, Caparezza ne inventa un’altra delle sue: si presenta sul palco vestito da Tartaruga Ninja, esattamente da Leonardo Da Ninja, un modo ironico per rimproverare all’Italia e agli italiani di non saper apprezzare e valorizzare il genio di Da Vinci e tutti quei giovani talenti, costretti oggi a fuggire all’estero per poter realizzare il proprio sogno. Bello, ma al contempo forte e straziante, il finto ed enorme cervello che dal palco viene lanciato in pasto alla massa, per poi essere portato via, lontano, in fuga dal nulla che questo Paese offre ai propri cittadini, sulle tristi note di “Goodbye Malinconia”. Dopo l’omaggio a tutti i bambini adulti, figli degli anni Sessanta, che tanto amano Kitaro, personaggio protagonista di un famoso cartone animato giapponese, si va a ballare in Puglia, con l’omonimo brano che sveglia d’incanto migliaia di persone presenti all’Ippodromo. Una grande festa che richiama ritmo, sapori e fotografie di una terra tanto bella e preziosa quanto bistrattata e ferita.

Il finale, dopo oltre due ore di spettacolo, è tutto da ballare, senza dimenticare le macchie che sporcano la nostra società (“Non me lo posso permettere” descrive il paradosso del consumismo a tutti i costi, tra banconote, carte di credito, televendite e prodotti inutili esposti in vetrina a prezzi assurdi). Caparezza indossa una t-shirt con la cover di Museica e spara, uno dopo l’altra, le sue ultime cartucce musicali. Da “Fai da tela” a “E’ tardi” (“sono fuori moda come il Nokia con i tasti, mi dicono che è tardi per cambiare, ma io non mi fermerò”), per concludere con “Fine di Gaia”, un calcio allo stomaco per il messaggio lanciato: “L’unico modo per salvare l’Italia e il mondo è investire su arte e cultura”, grida Caparezza, correndo da una parte all’altra del palco e guardando negli occhi, uno a uno, le tante persone che cantano con lui. Un fiume di persone che lo sostiene e lo ama da anni, perché ha coraggio da vendere, perché ci metter la faccia e denuncia, attraverso la propria arte, lasciando sempre aperta la porta della speranza, il cancro che, da tempo, divora il nostro sistema.

Silvia Marchetti

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