La via della seta tra passato e presente

La via della seta era una complessa rete di tragitti commerciali che univa l’Occidente con l’Oriente. La sericoltura nacque in Cina, secondo la leggenda intorno al terzo millennio a.C. ma quest’antica pratica si diffuse fuori dai confini cinesi dal terzo secolo dopo Cristo. Prima di allora i metodi di origine e lavorazione della fibra erano mantenuti segreti. La seta arrivava in Occidente dalla Cina, mediante l’Asia Centrale. Su queste direttrici viaggiavano profumi, spezie, metalli, medicinali, influssi culturali e naturalmente il prezioso tessuto. Come e quando fu divulgata in Occidente la tecnica resta un mistero; sappiamo tuttavia che in Italia la prima testimonianza scritta sulla lavorazione della seta grezza risale al 1037 e arriva da Avellino. Il tessuto si ottiene principalmente dal baco da seta, una falena che tesse in quarantotto ore un bozzolo per proteggersi durante la trasformazione in adulta e che si nutre di piante di gelso. Il filo è usato per realizzare i tessuti (ndr, in calce un video in cui si spiega come viene ricavata nei dettagli la seta).

Bozzoli di bachi da seta
Bozzoli di bachi da seta

 

La via della seta vista dallo scrittore Mario Biondi

Per saperne di più sulla via o meglio sulle vie dalla seta abbiamo intervistato Mario Biondi, scrittore e viaggiatore che nel 1985 ha ricevuto il Premio Campiello con il romanzo Gli occhi di una donna. Da allora Biondi ha pubblicato diversi libri, fra cui Strada bianca per i monti del cielo. Vagabondo sulla via della seta (Tea editore, 2007), e collaborato con molte riviste.

La Via della Seta: che cos’era e quando nacque?
È indispensabile distinguere tra l’espressione “Via della Seta” e il sottostante reticolo di strade su cui nell’antichità viaggiava la seta stessa (ma assolutamente non soltanto la seta). Un reticolo che è esistito e si è variamente articolato fino dai tempi remoti, o comunque, per quanto concerne noi e la seta, almeno dalla metà del I° secolo avanti l’Era Comune. (Preferisco questa espressione ad “avanti Cristo” perché molte e variegatissime erano e sono le religioni di quei territori e di quelle strade.) Fu allora, infatti, secondo la storia non propriamente ufficiale, che la seta arrivò a Roma, portata da Giulio Cesare in persona sotto forma di bandiere catturate al nemico orientale in Asia Minore. Pare che i romani abbiano perso la testa per quello straordinario tessuto, al punto da portare al collasso il bilancio dello Stato con le sue sfrenate importazioni e da suscitare l’ira funesta di diversi censori tra cui Lucio Anneo Seneca: “Vedo vesti di seta (sericas vestes), se possono essere definite vesti robe che non nascondono il corpo, nemmeno le parti intime…”
Ma non ne sapevano assolutamente niente, al di là della labile nozione che arrivava dalla Terra dei Seri, com’era confusamente denominata allora la sconosciuta Cina. Di che cosa fosse, di quale ne fosse l’origine non avevano la più vaga idea. Secondo Plinio e Virgilio sarebbe stata ricavata da una misteriosa peluria che i Seri cardavano da altrettanto misteriose foglie. Come ho scritto nel mio libro più precisamente ispirato dai miei vagabondaggi sulla Via della Seta: “nella Storia naturale, volume VI «Geografia dell’Asia», paragrafo 54, … Plinio definisce «lana delle foreste» il lucente tessuto. Sapeva che veniva dalla terra dei Seri, i quali però secondo lui avrebbero tolto con un pettine una peluria bianca da certe ignote foglie, innaffiandola e passandola poi alle donne per la filatura e tessitura”.
E Virgilio: “Nelle Georgiche (II, 112), … scriveva «velleraque ut foliis depectant tenuia Seres…», «e come i sottili fili cardino dalle foglie i Seri…»” Insomma, quello e non altro era, pur in tutte le sue varianti, l’itinerario su cui viaggiava la seta: dall’Impero Cinese (Xi’an e poi Luoyang) a quello di Roma.

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E che cosa si intende adesso con l’espressione Via della Seta?
È un’espressione coniata soltanto nel XIX secolo. A proporla fu l’eminente geografo e viaggiatore barone Ferdinand von Richthofen, che la articolò al singolare (Seidenstraße) ma anche al plurale (Seidenstraßen). Quasi infiniti erano infatti quegli itinerari, e ogni viaggiatore (si trattava soprattutto di commercianti) sceglieva quello che era più congeniale o che riteneva più sicuro per se stesso e/o per il tipo di merci che trasportava, non tutte necessariamente ambite dagli stessi mercati. Io, mentre porto la seta verso Roma, vado a vendere questo nel tale mercato, quindi seguo questo itinerario. Lui, invece, va a commerciare là e là… Dal cuore della Cina fino a Tiro e Sidone la strada da fare è tanta, con deserti da attraversare, monti da valicare, fiumi da guadare o navigare. La penultima parte del viaggio, in genere, avveniva sull’Eufrate, da Basra in su. E c’era anche chi affrontava il mare, scendendo all’estremo sud della Persia (Hormuz) per imbarcarsi e raggiungere il nord del Mar Rosso (Aqaba e vicinanze) e risalire da lì nel deserto fino ai due porti sopra citati. Ai primi erano dovute le strepitose ricchezze, per esempio, di Palmira. Ai secondi quelle di Petra. Ma soltanto la seta percorreva tutto l’itinerario dalla Cina al Mediterraneo, non le altre merci, che si fermavano in questa o quella tappa, e soprattutto non gli uomini. I cinesi vendevano ai bactriani e tornavano indietro con altre merci. I bactriani vi aggiungevano le loro preziosità locali e andavano a commerciare con i persiani, i quali a loro volta proseguivano fino al Mediterraneo, oppure a un certo punto scambiavano le merci con le popolazioni della Mesopotamia. Da ultimo venivano i marinai fenici ed ellenici, o già romani, fino al porto di Roma. Che, Caput Mundi, ripeto, era il vero e unico terminale occidentale di tutto quel viaggiare della seta. Considero del tutto spuri altri itinerari proposti, che passando per Caspio e Aral salivano alla Moscovia e da lì raggiungevano l’Europa, spesso attraverso la Tana, ovvero il Mar d’Azov: su quelle strade viaggiava soprattutto il tè. Un’altra straordinaria “Via”, non sufficientemente indagata (credo). Infatti i Polo, che volevano andare in Cina, non vi si inoltrarono e scesero fino a Hormuz, da dove poi risalirono in un affascinante zig zag sulle Vie della Seta… Ripeto (con Richthofen): si tratta di TANTE VIE, al plurale, non di UNA VIA.

Attraverso la Via della Seta, l’Oriente condizionò l’Occidente e viceversa. In che modo? 
Gli scambi commerciali portano inevitabilmente con sé scambi di natura culturale, ivi comprese la politica e la religione, magari intrecciate. Le religioni siriane e iraniane viaggiavano verso Roma: il culto di Mitra e/o quello del Sol Invictus, naturalmente, ma soprattutto, e ben più importanti, quelli di Jehova e di Cristo. Che intanto si spostavano anche verso Oriente, su un itinerario nell’ultima parte già percorso dal Buddismo espulso dall’India.
E, tutto sommato, fu su quegli ambitissimi itinerari che si inoltrò anche Alessandro Magno fino all’Indo, andando a conquistarvi le favolose ricchezze di quei luoghi, portandovi la cultura ellenistica a mescolarsi con il buddismo (dei bactriani e popoli vicini: Tajikistan, Afghanistan e Uzbekistan, essenzialmente) e facendo riportare in direzione opposta un po’ di tutto. Dopo di lui era intenzionato a cercare gloria e ricchezze (e il segreto della seta?) in quelle terre anche Giulio Cesare, ma l’onesta miopia repubblicana dei suoi sicari lo impedì. E i romani non riuscirono a espandersi più di tanto a Oriente, prendendo anzi un sacco di legnate dagli iraniani, da Crasso a Carrae fino a Valeriano a Edessa passando per Antonio nell’Atropatene (Azerbaijan).

Mario Biondi al Buddha gigante di Leshan, Sichuan, Cina, luglio 2006
Mario Biondi al Buddha gigante di Leshan, Sichuan, Cina, luglio 2006

Per quanto riguarda gli influssi socio-culturali, oltre al traffico della seta si diffusero probabilmente anche alcune metodiche mediche, come pure alimentari, è così?
I prosperi commercianti che viaggiavano su quegli itinerari (oltre agli irriducibili e spiantati religiosi, filosofi e artisti che si aggregavano ai loro convogli) erano esseri umani, dovevano pur nutrirsi, e si ammalavano, quindi dovevano curarsi. Portavano con sé le spezie con cui far cucinare dai loro servi, e invitavano al loro desco i locali, che ricambiavano. Anche se ancora oggi mi sembra che le usanze alimentari siano le più restie ad accettare gusti esotici. Tutti indistintamente sono convinti che la loro sia la cucina migliore del mondo. Lo stesso credo si possa dire per quanto concerne le tecniche mediche. Farsi curare in Cina? E per loro, specularmente, il contrario? Spiegandosi con il medico in quale lingua? Mi è capitato nel Deserto Taklamakan, tra uiguri e cinesi, e per fortuna il malanno non era tale da non poter essere riportato a casa…

Secondo alcuni storici, già prima dei Romani i legami tra Oriente e Occidente erano presenti, tanto che si denota una certa antinomia tra alcune caratteristiche della Medicina Ippocratica con quella Orientale, in particolare Cinese ma anche Indiana. Lei cosa ne pensa?
Gli scambi certamente c’erano, attraverso chissà quali canali misteriosi. Gli stessi canali attraverso cui viaggiavano, per esempio, le nozioni della matematica, al punto che non si riuscirà mai a stabilire (credo) se certe scoperte le abbiano fatte i greci o gli indiani. Mi permetto, al proposito, di proporre qui un brano di un altro mio libro, Con il Buddha di Alessandro Magno, che viaggia per gli stessi itinerari geografici e culturali.
“Il mondo era un unicum culturalmente globalizzato già nel VI secolo avanti l’Era Comune? Si direbbe di sì. Nel 570 circa, a Samo, koiné greca, nasceva (forse) Pitagora, matematico, filosofo, mago, semidio… Tra i cardini di quello che fu (forse) il suo insegnamento, i seguenti concetti: l’anima vive anche dopo la morte fisica e trasmigra in diverse vite successive in cerca della perfezione. Tra i corollari: non fare male agli animali, non mangiarne la carne… “Nel 560 circa, a Lumbini, attuale Nepal, koiné indiana, nasceva (forse) un erede del re dei Sakya, detto per questo Sakyamuni. Denominato Siddhārtha Gautama, è considerato il fondatore del buddismo e comunque il Buddha della presente era. Tra i cardini di quello che fu (forse) il suo insegnamento, i seguenti concetti: l’anima vive anche dopo la morte fisica e trasmigra in diverse vite successive fino a raggiungere la perfezione del nirvana. Tra i corollari: non fare male agli animali, non mangiarne la carne…” Concetti assolutamente analoghi negli stessi anni in luoghi tanto lontani… Come mai? Alessandro Magno non c’era ancora. Le idee viaggiano con l’aria?

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Com’è nato il Suo libro?
Mi permetta di dire i miei libri. Se non altro i tre di memorie di viaggio (Parti con un sorriso, Strada bianca per i Monti del Cielo e Con il Buddha di Alessandro Magno), ma non soltanto. Sono nati dai miei vagabondaggi, che a loro volta sono stati stimolati, rinnovati e portati più lontano dai ricordi che andavo man mano mettendo su carta (o fissando in fotografie).

Cosa le hanno trasmesso quei viaggi?
È stata una serie di viaggi che ho fatto su un arco di circa 40 anni (1968-2008). Molto più del tempo che ci ha messo Marco Polo per andare a Khanbaliq (Pechino) e tornare indietro… E non sono finiti, anche se non hanno ancora motivato nuovi libri.
Mi hanno arricchito di conoscenze ed entusiasmo, inesausta voglia di saperne di più su terre da visitare, popoli di cui considerarmi fratello, culture da indagare. Voglia di vivere. Voglia di scrivere. Il sentore dei miei viaggi in quattro continenti permea tutti i miei venti libri, compreso quello di poesie. Quanti ne ho pensati o ambientati ad Algeri, Istanbul, New York, Aleppo, Tehran, Pechino, Cuba…

La via della seta oggi. Ce la descriva un pochino…
Ripeto e concludo: non è UNA VIA, ma uno sterminato reticolo di itinerari che parte dal cuore della Cina e arriva in quello dell’Europa, e viceversa, passando per Kyrgyzstan, Tajikistan, Pakistan, Afghanistan, Iran, Iraq e Siria, senza allargarsi troppo nelle diramazioni. Deserti, steppe, montagne, laghi, fiumi. Anche il mare. Popolazioni cinesi, mongole, turche, iraniane, mesopotamiche, siriane. Come si fa a descrivere un simile insieme? Io ci ho messo tre libri completi e tante scene o versi di altri diciassette. Le foto non so nemmeno quante migliaia siano…

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