RETI DI INDIGNAZIONE E SPERANZA

La crisi finanziaria dell’Occidente e quella economica del mondo arabo, esacerbate dal cinismo e dall’arroganza di chi detiene il potere, e grazie al contributo decisivo delle forme di comunicazione basate sui network, hanno innescato «una nuova era rivoluzionaria, un’epoca di rivolte tese a esplorare il senso della vita anziché a colpire lo stato», scrive Manuel Castells in Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet (Università Bocconi Editore, 2012, 304 pagine, 25 euro). «La scintilla» delle ribellioni, scrive, «è stata la ricerca della dignità nel bel mezzo della sofferenza per l’umiliazione – temi ricorrenti nella gran parte dei movimenti».

Il nuovo libro di Castells, che verrà presentato a Milano il 7 novembre 2012, è teso a esplorare – partecipandovi – i movimenti sociali sviluppatisi in Tunisia, Islanda, Egitto, Spagna e Stati Uniti negli ultimi tre anni ed è nato «al crocevia tra emozione e cognizione, lavoro ed esperienza, storia e speranze personali per il futuro». È un libro diverso rispetto a quelli ai quali ci ha abituati il sociologo catalano dei movimenti sociali: realizzato in quattro mesi contro i cinque anni che gli sono soliti, viene definito un libro «semplice» e, nella sua chiarezza e comprensibilità, aiuta un largo pubblico a mettere a fuoco i concetti e le idee espresse nelle sue opere precedenti, tra cui i fondamentali Comunicazione e potere e la trilogia L’età dell’informazione, entrambi editi in Italia da Università Bocconi Editore.

Castells considera prototipi dei nuovi movimenti sociali quelli sorti in Tunisia e in Islanda (la «rivoluzione delle pentole», che ha portato alla riscrittura della Costituzione secondo modalità che l’autore paragona al crowdsourcing), ne illustra le caratteristiche e le ritrova nell’analisi della rivolta egiziana, degli indignados spagnoli e degli Occupy negli Stati Uniti.

I nuovi movimenti sono reti che a loro volta si muovono in un mondo di reti di vario livello, virtuali e fisiche, senza bisogno di una leadership formale e con un basso rischio di burocratizzazione e manipolazione. Prima o poi, finiscono per affiancare allo spazio virtuale della comunicazione in rete uno spazio fisico simbolico (le piazze), che viene occupato per acquisire visibilità sia locale, sia globale, per il dibattito che ne segue soprattutto in Internet. Vivono, nello stesso momento, nel tempo presente e precario, che può preludere all’uso della violenza da parte del potere per liberare i luoghi occupati, e nel tempo futuro della speranza di cambiamento.

L’origine dei nuovi movimenti è spontanea, e corrisponde solitamente a un picco di disgusto per il comportamento dei detentori del potere (l’ambulante che si dà fuoco in Tunisia dopo l’ennesima richiesta di tangenti da parte della polizia), reso virale dalla diffusione di immagini di violenza da parte delle forze dell’ordine attraverso YouTube o altri media. Il passaggio dall’indignazione alla speranza è il frutto di decisioni assembleari, perché chi partecipa ai nuovi movimenti è sospettoso di ogni delega di potere.

Attraverso le reti multimodali orizzontali, sia virtuali sia fisiche, questi movimenti creano nei partecipanti il senso di unità che, solo, può far superare la paura di intimidazioni e ritorsioni da parte del potere e trasformare così l’indignazione in speranza per il futuro. Infine, si tratta di movimenti autoriflessivi e poco programmatici, tesi al cambiamento dei valori della società più che a un risultato politico specifico e immediato. In questo senso, è giusto misurare i loro risultati nell’arena della lotta per le menti delle persone, più che in quella della competizione politica formale.

In tutto il processo, il ruolo delle tecnologie di comunicazione è fondamentale – come lo è stato, secondo modalità diverse, con le tecnologie e i movimenti del passato – ma non sono le tecnologie e determinare i movimenti. Questi e Internet condividono una fondamentale tensione alla libertà e la rete, per la prima volta nella storia, dà ai movimenti la possibilità di bypassare il monopolio dei mezzi di comunicazione di chi detiene il potere politico o economico, come ben testimoniano le storie raccontate da Castells con dovizia di particolari e grazie all’accesso a fonti primarie e privilegiate, anche per quanto riguarda il mondo arabo.

Manuel Castells è professore di Sociologia e direttore dell’Internet Interdisciplinary Institute della Universidad Oberta de Catalunya (UOC), a Barcellona. E’ inoltre docente di Sociologia e titolare della cattedra Wallis Anneberg di Tecnologia della comunicazione e società alla University of Southern California (USC), Los Angeles. E’ professore emerito di City and Regional Planing alla University of California, Berkeley. Fra le sue opere, Internet Galaxy, The City and the Grassroots: A Cross-Cultural Theory of Urban Social Movements, la trilogia L’età dell’informazione (La nascita della società in rete, Potere delle identità, Volgere di millennio) e Comunicazione e Potere.

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