DACIA MARAINI: «LA MAFIA? SI COMBATTE EDUCANDO»

Dacia Maraini, una delle scrittrici più importanti dei nostri giorni, è in giro per le scuole della Campania a promuovere il suo nuovo libro “Sulla Mafia”. Un percorso intenso dedicato ai ragazzi, ma soprattutto ai più piccoli, affinché imparino presto a lottare per la difesa della propria identità. Un viaggio tra i banchi di scuola che porta la celebre scrittrice a continuare il suo lavoro di sempre, che oscilla tra l’educazione alla cultura e l’istruzione alla vita.

Come tutti sanno, soprattutto grazie al suo romanzo “Bagheria”, tra le regioni che porta nel cuore in primis c’è la Sicilia. In questo momento l’isola ha subìto importanti cambiamenti politici: qual è la sua opinione a riguardo?
Penso che sia un’ottima cosa. Finalmente la Sicilia ha scelto diversamente e si impegnata a credere in qualcosa che non fa già parte della sua tradizione. Personalmente la decisione dei siciliani mi sembra ottima, ho molta speranza. Si respira aria nuova e io me ne riempio i polmoni!

E dei risultati delle elezioni americane, invece, cosa ne pensa?
Sinceramente, sono molto contenta del risultato ottenuto. Si può criticare mille volte Obama, ma alcune sue qualità restano innegabili: ha un’attenzione particolare per gli esclusi e per i problemi dei più deboli, non a caso è stato votato soprattutto dai “poveri d’America”. La sua politica poi è quella della pace, ha vinto il nobel per questo e non bisogna dimenticarlo. Romney, invece, durante tutti i dibattiti aveva già aveva parlato di guerre, professando di appoggiare la politica bellica. Obama era l’unica speranza per gli Stati Uniti: già altri come Bush si erano impelagati in guerre terribili che non avevano senso, inutile ritrovarsi a commettere gli stessi errori.

In tutti i suoi romanzi, lei descrive sempre personaggi femminili dal carattere incredibilmente forte. Lei crede che oggi in Italia uno dei problemi sia la mancanza di donne coraggiose?
No, anzi! Sono convinta che l’Italia sia piena di donne straordinarie, magari poco conosciute però. Madri in carriera che conducono una vita coraggiosa. Impossibile non pensare alle donne giudice o alle donne magistrato.. tutte donne che pur facendo lavori, che una volta erano tipicamente maschili, sono meno appariscenti degli uomini che fanno il loro stesso mestiere e meno citate anche nella stessa cronaca.

Ci sono quindi ancora molte “Emanuela Loi” in giro?
Indubbiamente! Io sono molto legata alla figura di Emanuela. Quando si pensa alla Strage di via D’Amelio a Palermo tutti ricordano Borsellino, com’è giusto che sia, senza però andare oltre. Io ogni volta che penso a quello che accadde il 19 luglio del 1992 non posso non pensare a questa donna che, consapevole dei pericoli che avrebbe corso accettando di far parte della scorta del magistrato, non si tirò indietro, preferendo la giustizia alla sua stessa vita. Io credo che di donne così ce ne siano ancora tantissime:  ciò che manca è una rappresentanza di esse. In politica ci sono pochissime donne e questo è un dato di fatto. La mia non è un’affermazione contro gli uomini, sia chiaro: sto parlando a favore delle donne!

Nel suo ultimo libro: “Sulla mafia”, oltre ad alcuni racconti, ha dedicato un’intera sezione ad una raccolta di suoi articoli precedentemente pubblicati sul Corriere della Sera. Come mai ha sentito l’esigenza di riproporli?
Non è la prima volta che parlo di Mafia in uno dei miei lavori. Ho riproposto quegli articoli per ricordare a tutti che la mafia cambia, si adegua alle situazioni, a un tipo di vita basato sulla finanza. Il trasformismo è la chiave dell’enorme vitalità della mafia. In questo periodo poi, in cui la finanza è così importante, i mafiosi vanno a Parigi, a Londra, in Germania. Si infilano dappertutto. Sono passati dalla campagna alla città, alla grande industria fino ad arrivare ai centri della finanza europea e mondiale. Per fare tutto questo però, loro devono avere appoggi nella società civile e nella politica, ed è lì che bisogna agire. La criminalità è sempre esistita, c’è in tutto il mondo. Possiamo dire che sia endemica in un certo senso. Diventa terribile però, quando si inserisce nei gangli sociali, nelle strutture e nelle istituzioni e diventa una cosa di cui non ci si libera più. Ho sentito il bisogno di risvegliare le nostre coscienze: perché bisogna agire sul punto di sutura tra la criminalità e la società civile. Se pensiamo a quante città in Italia oggi sono commissariate per mafia ci rendiamo conto di quanto siano ancora troppo stretti i rapporti con quest’organizzazione.

Italo Svevo considerava la penna un’arma potente più di una qualsiasi bomba atomica: anche lei la reputa allo stesso modo?
Nonostante ne apprezzi la potenza, non mi piace ritenerla un’arma, bensì uno strumento. Uno strumento che cerco di utilizzare al meglio possibile. Naturalmente posso sbagliare, ma cerco sempre di usarla al meglio.

Ha iniziato questo nuovo percorso che l’ha portata a visitare molte scuole. Come sta vivendo questo continuo dialogo con i ragazzi?
Ho sempre creduto che è dalla scuola che bisogna cominciare. Bisogna creare una coscienza civile da piccoli. L’educazione ai sentimenti, alla verità: queste sono tutte cose che bisogna insegnare già ai bambini. Ciò che mi ha colpito moltissimo fin dall’inizio di questa nuova esperienza è il vedere come in moltissime scuole i piccoli rispondono ai miei input. E la loro risposta non è frutto solo della loro perspicacia: ciò vuol dire soprattutto che hanno le spalle dei bravi maestri che li seguono e li educano costantemente senza dar nulla per scontato. Punendoli se ce n’è bisogno e lodandoli quando lo meritano.

Partendo dal suo capolavoro: “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, mi permetta un’ultima domanda: a più di 20 anni da quella sua meravigliosa pubblicazione, lei è ancora convinta che “si è sempre muti dinanzi alla vita”?
Dinanzi al dolore, dinanzi alla paura, dinanzi alla morte. Sì, in un certo senso sì. Ci sono stati molti momenti della mia vita in cui il silenzio è stata la risposta. Ma è stato proprio in quei momenti che ho cercato la forza di scrivere. Si resta muti, ma poi bisogna trovare le parole, le parole giuste, però.

Maria Rosaria Piscitelli

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