COME UNA VOLTA

Foto riprodotta da Fabbian Palumbo

Quando i miei nonni erano giovani, la domenica mattina il sole splendeva di un’altra luce, il viso era rilassato, i vestiti prendevano vita diversamente, ma soprattutto l’armadio aveva una sostanza diversa. La domenica mattina si era soliti vestirsi bene, proprio come alle feste paesane. Parole che mia nonna mi ripete sempre ancora oggi. Lei, figlia di un umile contadino, mi racconta che l’armadio era composto da divise prestabilite. C’era da una parte l’outfit da lavoro, dall’altra “i panni buoni”. Gli abiti che si utilizzavano per lavorare erano spesso il riciclo dei vestiti domenicali che erano stati usati già molte volte. Con il passare del tempo, invecchiavano gli abiti e anche il ruolo che avevano. I capi, quindi, vivevano parallelamente alle persone. Come le rughe di un viso invecchiato, così le usure di un pantalone ne identificavano l’età, ma soprattutto l’uso. Poi c’erano “i panni buoni”, quei vestiti che dovevi cambiare per moda. Un armadio non molto pieno ma sicuramente più funzionale e quindi più ricercato.

Le donne della foto sono figlie di quell’armadio. Mia nonna, in piedi, mia zia, seduta. Nonostante lo stesso outfit, volutamente scelto da entrambe per vanità – mi racconta mia nonna – appare esattamente la diversità del loro ruolo. Mia nonna, un carattere forte, sin da ragazza ha cresciuto la sorella e badato alla casa e alla terra. Nata come il guardiano della famiglia, insomma, un esempio per la sorella, piccola e comandata. La storia è raccontata dalla naturale posa delle due donne. Un coordinato outfit composto da una gonna, cucita dal sarto del paese, che ai tempi proponeva anche i tessuti. Parliamo dei tessuti pregiati come in questo caso ricamati degli anni ’50 fatti al cento per cento al naturale.

Fantastica e coerente, come la moda insegnava in quel periodo, è stata la scelta accurata del meraviglioso giacchino da loro abbinato. Taglio netto e avvitato con la manica disegnata senza far vedere il gomito. Una ricerca meno accurata per i gioielli, donati per tradizione dalle madri, mentre erano un must, al tempo, per la moglie del sindaco e le sue amiche. Se al viso era dovuta la bellezza naturale, le mani, invece, la domenica mattina potevano essere coperte da eleganti guanti che ai tempi distinguevano le signore dalle figlie del contadino. Inoltre, l’eleganza non si vedeva dalla lunga linea che regala il tacco ma era, a mio parere, data dalla lunghezza data dalla gonna.

Insomma credo che per vestirsi mia nonna avesse scelto la forma dettata da Dior mescolata all’elegante taglio femminile di Chanel, lunghezza appunto della gonna. L’umiltà di queste Dee si intravede dalla semplicità del luogo e dalla scelta del posto a sedere, comune nelle tradizionali case di quel periodo. Credo che l’armadio sia un po’ come il diario segreto di quando eravamo piccoli, l’unico a conoscere il nostro continuo cambiamento e sempre l’unico a vederci prima per come siamo e poi per come vogliamo essere. La differenza sta che, ai tempi di mia nonna, c’erano degli obbiettivi imposti già dalla nascita, oggi invece ci è stato regalato il dono di sognare che a volte ci tiene lontani troppo a lungo dalla realtà e quando apriamo gli occhi è troppo tardi per costruire un presente.

Crico

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