«QUANDO UCCIDEVO MI MACCHIAVO LA FACCIA CON IL SANGUE DELLE VITTIME»

“Ci si fa sconfiggere dalla paura quando non si è motivati”  

Padre Berton

Foto di repertorio © Renate W. Fotolia.com

“La vita non perde valore”. Mai; neanche in Sierra Leone, terra ricca di risorse ma devastata da dieci anni di guerra civile, nel corso della quale sono stati reclutati anche bambini. Ed è proprio su questi bambini che Wilma Massucco, videomaker e titolare della casa di produzione Bluindaco, ha realizzato un documentario dal titolo “La vita non perde valore”, in cui si mette in evidenza soprattutto l’opera di padre Giuseppe Berton, missionario vicentino dell’Ordine dei Saveriani.

«Quando uccidevo, prendevo il sangue e mi cospargevo la faccia. Poi, mi scrivevo addosso il nome delle mie vittime», dice nel filmato una ragazza. Parole raccapriccianti ma ricche di spunti di riflessione. Frasi pronunciate di getto, a cui Wilma ha dato voce attraverso la forza evocativa e coinvolgente delle immagini. Storie da raccontare cercando di carpirne tutta l’essenza. Ma conosciamo più da vicino l’autrice del documentario.

Wilma come è nata questa passione?

Wilma Massucco

Dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria chimica, ho lavorato in azienda, sette anni in una Multinazionale e otto anni in una Piccola Media Impresa, scontrandomi quotidianamente tra quello che facevo e quello che avrei voluto fare. Questo dissidio interiore mi spingeva continuamente a cercare altro, finché un giorno – all’età di 37 anni – ho deciso di provare ad aprire una porta… e mi sono iscritta alla Facoltà di Mediazione dei Conflitti dell’Università di Firenze. Pur continuando a lavorare, sono riuscita a dare qualche esame e a frequentare un master organizzato dall’Ateneo, grazie al quale mi sono accreditata come “esperto di gestione dei conflitti sociali ed interculturali”. Quando ero all’Università di Firenze, sono entrata in contatto con persone dal profilo umano e professionale per me davvero stimolante e così, per gioco, un giorno ho chiesto a una di queste persone se mi rilasciava un’intervista, che è stata poi pubblicata da una rivista a tiratura nazionale, a cui ne sono susseguite altre che sono state pubblicate da quotidiani e riviste nazionali. Una delle persone che ho intervistato in quel periodo era Stefano De Santis, in qualità di esperto di dialogo interculturale e progetti di cooperazione internazionale. In seguito, quando all’età di 40 anni ho finalmente deciso di lasciare l’azienda per cui lavoravo per dedicarmi davvero a quello che sentivo essere la mia naturale inclinazione, cioè fare interviste, ho contattato nuovamente Stefano De Santis, facendogli presente che avevo appunto lasciato l’azienda e che ero diventata freelance. Un mese dopo Stefano mi ha ricontattato e mi ha proposto di entrare in EUGAD, un progetto di cooperazione internazionale finanziato dalla Comunità Europea, con l’obiettivo appunto di fare interviste.

E poi la Sierra Leone…

Grazie al Progetto EUGAD sono andata in Sierra Leone, dove ho incontrato padre Giuseppe Berton, il quale mi ha proposto di fare un approfondimento sulla sua attività con i bambini soldato. Da questo approfondimento con Padre Berton è nato il documentario “La Vita non perde valore”; in concomitanza ho fondato Bluindaco productions.

Cosa ha provato e visto laggiù?

Mi sono resa conto che padre Berton aveva fatto un miracolo e quindi ho cercato con curiosità sincera di far conoscere la storia di questi ragazzi; ho cercato insomma di guardare oltre. Nella comunità di padre Berton vedi vittime e carnefici incontrarsi senza odio, né rancore perché hanno fiducia ancora nella vita. In questi ragazzi c’è una progettualità chiara e concreta che manca un po’ ai giovani italiani. Nel documentario non ho voluto tanto soffermarmi sul dramma umano ma su come è stato affrontato e risolto.

E adesso… Progetti?

Oggi mi dedico non soltanto alla realizzazione di documentari, ma anche alla produzione di prodotti audiovisivi in generale, nei quali predomina sempre l’intervista; in questo genere giornalistico c’è sempre uno scambio “pulito” tra chi pone le domande e chi risponde. Per quanto riguarda i prossimi progetti, uscirà  un focus che ho appena girato in India, incentrato sulle emozioni delle donne. Soggetto messo a punto con Bina Sengar, docente presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Aurangabad, BAMU University.

Donne?

Sì, parliamo di donne italiane e indiane. Le immagini sono state girate tra l’Italia e l’India. Due Paesi profondamente diversi.

In che senso?

Entrambi hanno una società multietnica, dalla cultura millenaria, ma radicata in principi etici e religiosi tra loro molto differenti, nei quali il concetto stesso di femminilità trova espressioni spesso agli antipodi. L’interazione tra queste due culture può dare l’opportunità di imparare reciprocamente l’una dall’altra, rispondendo a un bisogno attuale: quello di trovare la migliore espressione dell’essere donna nel contraddittorio mondo di oggi.

Cosa consiglia ai giovani che vogliono intraprendere questo lavoro?

Sulla base della mia esperienza – una carta peraltro ancora tutta da giocare – mi sento di dire che gli ingredienti importanti per intraprendere un’attività di questo tipo sono essenzialmente tre: passione, energia e buona fortuna. La passione e l’energia sono alimentabili individualmente; la buona fortuna, sono convinta, ci venga incontro quando sinceramente ci dedichiamo alla migliore espressione di noi stessi, quando… non soffochiamo le nostre inclinazioni naturali. Come dire: la vita ci sostiene, presentandoci buone opportunità lungo il percorso. Certo, le difficoltà non mancano e per questo mi piace concludere con una massima davvero realistica: “Volare alto, ma con i piedi ben piantati per terra!”.

Maria Ianniciello

Riconoscimenti del documentario

Trailer del documentario
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